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Giornata delle donne: dalle origini alle rivendicazioni odierne

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In tutto il mondo, in occasione dell’8 marzo si celebra la Giornata internazionale dei diritti delle donne. Molto spesso definita solamente “Festa della donna”, è bene ricordare che si tratta di una commemorazione delle lotte da parte delle donne per il riconoscimento dei propri diritti in ambito economico, politico e culturali.

Dalle origini alle rivendicazioni femministe

Gli eventi storici che hanno segnato le origini della ricorrenza sono del tutto incerti: si è pensato per anni che il punto di partenza risalisse all’ipotetico incendio della fabbrica di camicie Cotton a New York nel 1908, dove il padrone, un uomo di nome Johnson, avrebbe chiuso le serrature delle porte della fabbrica dove lavoravano 129 operaie cui non rimase scampo dalle fiamme. La ricostruzione storica, però, smentisce del tutto questo avvenimento. A quanto pare, non è mai esistita una fabbrica di nome Cotton (o Cottons), e nel 1908 non è mai stato registrato nessun incendio.

Probabilmente, questa vicenda prese spunto da un incendio analogo accaduto realmente il 25 marzo 1911 della fabbrica Triangle Shirt Waist Company a Manhattan, considerato il disastro industriale più grande nella storia di New York City, causando 146 vittime (di cui 123 donne, la maggior parte immigrate italiane e ebree). L’evento di per sé ebbe un eco sociale e politico talmente forte da rappresentare l’inizio delle riforme americane sulle leggi inerenti la sicurezza sul posto di lavoro.

A sostegno di questa ricostruzione, il Museum of the City of New York (che si trova nell’Upper East Side della Metropoli) ricorda tutti gli incendi che purtroppo devastarono la città, incluse le immagini che ritraggono il grave incidente della fabbrica Triangle.

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La fabbrica Triangle in fiamme durante le operazioni di spegnimento. Fonte: trianglefire.ilr.cornell.edu

Perché proprio l’8 Marzo?

In realtà, le origini della festa hanno una connotazione per lo più politica. La ricorrenza nasce con la protesta delle donne russe dell’8 marzo 1917, che chiesero a gran voce nelle strade “pane e pace” e il loro diritto di voto. Tale evento segnò l’inizio della Rivoluzione Russa di Febbraio, preludio alla Rivoluzione d’Ottobre. Ma facciamo qualche passo indietro.

L’istituzionalizzazione nel mondo e in Italia

Secondo alcuni storici, la conferenza di Copenaghen segnò il punto di partenza nel lungo tragitto sull’istituzionalizzazione della Giornata Internazionale dei diritti delle donne. Durante il VII Congresso della II Internazionale socialista, tenutosi a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907 (e nel quale erano presenti tra i maggiori dirigenti marxisti del tempo, come i tedeschi Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, August Bebel, i russi Lenin e Martov, il francese Jean Jaurès) vennero discusse tesi riguardanti il colonialismo, la questione femminile e la rivendicazione del voto alle donne.
Su quest’ultimo argomento il Congresso votò una risoluzione nella quale  i partiti socialisti si impegnavano a «lottare per l’introduzione del suffragio universale delle donne, senza doversi alleare con le femministe borghesi che reclamavano il diritto di suffragio, ma con i partiti socialisti che lottano per il suffragio delle donne».

A questo evento se ne aggiunse un altro: nel 1917, nel periodo della Russia Socialista, presero vita una serie di manifestazioni da parte delle donne di San Pietroburgo che protestavano contro la violenza della guerra in corso. In ricordo di questa prima manifestazione operaia contro lo zarismo e forti del periodo storico e culturale di particolare formento sulla questione di genere, durante la Seconda conferenza delle donne comuniste del 1921 si decise di rendere ufficiale la data dell’8 marzo come Giornata Internazionale dell’Operaia.

Il Woman’s Day statunitense

Negli Stati uniti, la conferenza del Partito Socialista americano del 3 maggio 1908, presieduto da Corrine Stubbs Brown a Chicago, nel Garrick Theater, venne ricordata come il “Woman’s Day“: la discussione verteva sullo sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni delle operaie, soprattutto per quanto riguarda l’orario lavorativo disumano e il basso salario, senza contare le discriminazioni sessuali e il diritto di voto alle donne. Nel febbraio dell’anno successivo, alla Carnegie Hall si celebrò il primo Woman’s Day negli USA.

Il dopoguerra e la nascita dell’UDI in Italia

La prima volta che l’Italia introdusse la Giornata Internazionale della donna fu il 12 marzo 1922, per iniziativa del Partito Comunista Italiano, ma prese maggiormente piede nel 1944, dopo la caduta della dittatura fascista, dove le donne appartenenti al PCI, al PSI, al Partito d’Azione, alla Sinistra Cristiana e alla Democrazia del Lavoro crearono a Roma l’UDI (Unione Donne in Italia). Fu proprio l’UDI a prendere l’iniziativa di celebrare, l’8 marzo 1945, la prima giornata della donna nelle zone dell’Italia libera.

Per la sua istituzionalizzazione a carattere mondiale come “Giornata Internazionale dei diritti delle donne” dovremo aspettare il 1977 con il riconoscimento formale dell’ONU, nella risoluzione 32/142.

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Manifestazione delle donne per la giornata delle donne nel 1980. Fonte: CGIL Bologna

I diritti delle donne nel Mondo…

È innegabile che le lotte delle donne femministe nel corso del secolo scorso siano state fondamentali nello sviluppo della nostra società civile, adesso volta al perseguimento di valori etici basati sulla parità di genere, pari trattamento e pari opportunità. Tuttavia, è ancora fortemente sentito in diversi ambiti del sociale il fenomeno della discriminazione di genere. Ad esempio, benché le donne lavorino per i due terzi del totale delle ore lavorative mondiali, a loro spetta solo il dieci per cento del reddito mondiale.

È anche vero che tale processo di riconoscimento non è stato omogeneo in tutto il mondo, ma esistono ad oggi diversi livelli di liberalizzazione della donna.

La rivoluzione in Iran

In Iran, per esempio, le donne continuano a lottare per la propria libertà, nonché per la vita. Dall’omicidio di Mahsa Amini da parte delle autorità morali del Paese, non si arrestano più le proteste delle donne iraniane, che al grido di «Donne, vita, libertà», stanno mettendo in atto una vera e propria rivoluzione, potente, inclusiva e trasversale. Non solo si stanno battendo contro la gestione patriarcale del loro corpo e degli spazi pubblici, ma chiedono a gran voce un diverso sistema di governo. Senza dimenticare, però, che in questa rivoluzione non sono sole: il loro punto di forza risiede nell’unione con giovani uomini che combattono al loro fianco.

La battaglia non si esaurisce in strada. Infatti, le ragazze iraniane puntano sull’istruzione per emanciparsi, unico strumento per sopperire alla schiacciante censura che in questi mesi il governo iraniano sta mettendo in atto per mettere fine alle proteste.

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Una donna iraniana reagisce durante una protesta davanti al consolato iraniano a Istanbul, in Turchia, il 21 settembre 2022. Fonte: Rainews

L’oppressione in Afghanistan

In Afghanistan, il colpo di stato messo in atto dai Talebani ha portato il paese indietro di vent’anni, causando al processo di emancipazione della donna maggiori difficoltà rispetto a prima della caduta del governo filoamericano.

Infatti, l’Afghanistan è l’unico paese al mondo dove alle donne non è permesso studiare, frequentare le scuole superiori, né l’Università. È loro vietato, poi, lavorare fuori casa, spostarsi in autonomia senza la presenza di un parente di sesso maschile, ed hanno l’obbligo di indossare il burqa in pubblico. Naturalmente, anche il precedente Ministero delle donne è stato abrogato per fare spazio al Ministero della Prevenzione della Virtù e contro la Promozione del Vizio.

… e in Italia?

La condizione femminile in Italia ha avuto il suo massimo sviluppo a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dalla caduta del regime fascista, quando le donne hanno visto finalmente riconoscersi sempre più diritti, i quali in precedenza erano prerogativa esclusiva degli uomini, fino ad arrivare alla completa parità giuridica.

Eppure, siamo ancora molto lontani da un’effettiva attuazione dell’articolo 3 della Costituzione Italiana, che postula che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Donne e lavoro, ancora lontani dalla parità

Secondo un sondaggio IPSOS, in Italia, quasi sette persone su dieci (67%) ritengono che nel nostro Paese vi sia attualmente una disuguaglianza tra donne e uomini in termini di diritti sociali, politici e economici, e sono soprattutto le donne ad essere d’accordo con questa affermazione (73% contro il 61% degli uomini). La questione del gender gap non è mai stata affrontata in maniera completa dai governi che si sono susseguiti in Italia, e il tasso di occupazione parla chiaro. Infatti, pur avendo toccato quota 60,5% lo scorso ottobre, il valore più alto dal 1977, i tassi di occupazione di uomini e donne continuano a restare distanti (rispettivamente 69,5% e 51,4%), con un gap di genere del 18%.

Il tasso di disoccupazione femminile è al 9,2% contro il 6,8% degli uomini, divario che aumenta per i giovani fra i 15 e i 24 anni con tassi del 32,8% per le ragazze e il 27,7% per i ragazzi.

I dati relativi al primo semestre del 2022 confermano la specificità femminile del part time come forma di ingresso al lavoro. Su tutti i contratti attivati a donne, il 49% è a tempo parziale, contro il 26,2% maschile. In particolare, è a part time oltre la metà (51,3%) dei contratti a tempo indeterminato delle donne.

Questo perchè, sul genere femminile cade una condizione lavorativa definita di “debolezza rafforzata”, ossia la presenza di due fattori di criticità associati: la forma contrattuale precaria e il tempo parziale. Se consideriamo solo il lavoro a tempo determinato, che occupa il 38% dei contratti delle donne e il 43% di quelli degli uomini, si nota che della prima quota il 64% è part time e della seconda lo è il 32%. Un’incidenza superiore rispetto a quella maschile di più di 22 punti percentuali.

Sul diritto d’aborto

Gender gap a parte, anche il diritto d’aborto in Italia è sancito dalla legge 194/1978, ma nella pratica la questione è più complessa. Nelle strutture ospedaliere situate nel territorio italiano, in media si stima che 7 ginecologi su 10 sono obiettori di coscienza, e che quindi si rifiutano di applicare il diritto d’aborto alle donne che hanno espresso la volontà dell’interruzione volontaria di gravidanza.

Victoria Calvo