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Metal Gear: i 3 momenti migliori che vorremmo nel film

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La saga di Metal Gear è una di quelle saghe videoludiche talmente longeve e conosciute che chiunque nel mondo dei videogames ci ha avuto a che fare. Il primo capitolo risale al 1987 sviluppato per la macchina MSX ed il NES e si “conclude” nel 2015 con Metal Gear Solid V: The Phantom Pain.

Qui, però, si analizzerà un altro aspetto: riporteremo le scene che reputiamo essenziali per una eventuale trasposizione cinematografica della famosissima saga ideata dal game designer Hideo Kojima. Del film si è molto parlato negli ultimi decenni, ma fino ad ora solo 2 notizie sono trapelate: il regista sarà Jordan Vogt Roberts (già alla regia per The Kings of Summer e Kong: Skull island) e ad interpretare Solid Snake avremo il talentuoso Oscar Isaac (Dune, Moon Knight).

Null’altro è dato sapere, la Sony sta tenendo tutto per sé. Anche Konami sta facendo lo stesso con i suoi giochi dato che, grazie ai meme e alla perseverante passione dei fan, sembra che ci siano in programma dei remake dei primi 3 capitoli.

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Lo scontro tra The Boss e Snake in un concept art per il film; fonte: https://twitter.com/VogtRoberts/status/

Metal Gear Solid 3: Snake Eater – La morte di The Boss

Il finale del terzo capitolo della saga è tra le scene più iconiche, sia da un punto di vista di trama sia per la giocabilità in sé. Il combattimento più sofferente per Snake poiché affronta quella che è stata la sua mentore e adesso la sua nemesi: The Boss.

Conosciuta anche come The Joy o Voyevoda, The Boss è un personaggio molto interessante e fondamentale nella saga . Nel gioco sfida e combatte Snake, finché, in un luogo colmo di fiori candidi detto Rokovoj Bereg, muore sotto i suoi colpi. Nella scena, rivela a Snake la causa scatenante della Guerra Fredda, e l’elemento fulcro che ha portato l’intera trama al suo sviluppo. 

Dunque, si scopre che  le scelte di The Boss derivano dalla missione segreta assegnatale dalla CIA e dal Presidente: fingersi una spia russa e morire per mano del suo discepolo come traditrice della patria. La morte di The Boss provoca un forte impatto emotivo a Snake poiché realizza qual è la verità dietro la missione della sua mentore. La verità, dunque, è che fu una vera patriota, una vera eroina che sacrificò la sua vita e il suo onore, e che passerà alla storia, ufficialmente, come una criminale di guerra. Snake diventa Big Boss per aver portato l’Eredità indietro e aver sconfitto il suo mentore,  ma il suo rapporto da soldato con gli Stati Uniti viene per sempre compromesso. 

Metal Gear Solid: Peace Walker – La nascita di un villain

“Con il tempo, tutti gli eserciti devono essere completamente aboliti.”

Immanuel Kant, “Per la pace perpetua” cap.1

Nel primo finale del capitolo MGS: Peace Walker il nostro Snake si troverà davanti al Peace Walker, un carro armato movente con al suo interno l’intelligenza artificiale della sua mentore The Boss. Dopo averla uccisa, si troverà ad affrontare nuovamente il suo ricordo, per salvare il mondo da una catastrofe nucleare.

 E’ bene sottolineare quanto Snake fosse interessato al Peace Walker. Cosciente di trovarsi davanti ad una IA basata sulla mente di The Boss, cerca prove del motivo del tradimento della sua mentore. Dalle cassette audio  Snake capisce che in realtà lui è stato usato dalla sua mentore. The Boss non voleva altro che trovare quella pace che il mondo non riusciva più a darle, stanca della guerra ormai voleva solo sparire, piuttosto che continuare a combattere. Snake cambia obiettivo e decide di non voler rinnegare sé stesso come soldato, a differenza della sua maestra, e da quel momento in poi abbraccerà il nome in codice che la stessa Casa Bianca gli aveva affibbiato, Big Boss. E’ qui che nasce il vero villain che conosceremo nel primo Metal Gear: un guerrafondaio pragmatico che vede come unica ragione della sua esistenza e quella del mondo fondamentalmente nella guerra. 

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Il peace Walker in uno dei trailer di Metal Gear Solid Peace Walker; fonte: https://www.instagram.com/spdrmnkyxxiii/

Metal Gear Solid 2: le conseguenze dell’informazione digitale

Metal Gear Solid 2 può essere considerato un capolavoro per un particolare motivo: riesce a sovvertire completamente le aspettative del videogiocatore trasmettendo un importante messaggio di denuncia. Uscito nel 2001 affrontava il tema dell’informazione digitale in una maniera ottima se consideriamo soprattutto il fatto che internet era appena diventato una tecnologia di massa.

Il protagonista della storia risulta da subito inetto ed un emulo dell’ eroe del primo capitolo della saga.  Siamo costretti nei suoi panni durante tutta la trama e manovrati dalle mani di più burattinai, fino a renderci conto assieme al protagonista della realtà.

È proprio il finale di questa storia che noi consideriamo importante. Speriamo davvero che non venga tralasciato il messaggio che veniva trasmesso ai tempi, anzi, speriamo che venga ancora più ribadito.  Il ruolo del protagonista, marionetta nelle mani di una intelligenza artificiale, è  fondamentale; crediamo che ancora oggi rimanga una figura d’impatto.

L’intera trama del secondo capitolo è un pretesto per parlare al giocatore ed affrontare certi temi come l’accettazione del proprio io e della necessità di relazionarsi con gli altri. Già nel 2001 molti si sono lanciati contro Metal Gear Solid 2, criticandolo per l’aver disatteso le aspettative di chi voleva una storia puramente action, salvo essersi ricreduti nel tempo.

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Raiden, protagonista del secondo capitolo: fonte https://www.youtube.com/watch?v=E5zFtlGeqhg

Non solo fatti, ma interpretazioni

E’ vero che la saga di Metal Gear Solid si caratterizza di simbolismi e stratagemmi anticonvenzionali non trasponibili in un film diretto a un pubblico di massa. Ciononostante, queste scene sono per noi tra quelle immancabili per un film sulla storia delle Les enfaints terribles. Speriamo che il regista e Oscar Isaac ci mettano passione in questo progetto fantasma, distinguendosi da altre trasposizioni poco dignitose a cui siamo stati abituati noi videogiocatori.

Salvatore Donato,

Federico Ferrara,

Matteo Mangano