Totò: 125 anni dalla nascita del principe della risata

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Nel mondo del cinema italiano, c’è chi ha avuto il privilegio (e chi no) di poter assistere, sul grande schermo e a teatro, alle grandiose performances attoriali di note donne e uomini appartenenti al filone della commedia all’italiana, genere cinematografico affermatosi nel secondo Dopoguerra. Tra questi, uno in particolare lo ricordiamo affettuosamente e con grande stima: Totò! Al secolo Antonio de Curtis, l’attore napoletano è stato tra i più grandi della scena italiana e regionale per le sue doti sia come attore, ma anche come paroliere, poeta e filantropo.

L’esordio a teatro e l’approdo al cinema

Signori si nasce e io lo nacqui, modestamente! (frase tratta dal film Signori si nasce)

Nato nel 1898, Totò iniziò, in età giovanissima, a frequentare i teatrini periferici esibendosi – con lo pseudonimo di “Clerment“— in macchiette e imitazioni del repertorio di Gustavo De Marco, illustre interprete napoletano dalla grande mimica e dalle movenze snodate, simili a quelle di un burattino. Proprio su quei palcoscenici di periferia incontrò attori come Eduardo De Filippo e suo fratello Peppino.

Nel 1927 fu scritturato da Achille Maresca, titolare di due diverse compagnie. Due anni dopo, venne contattato dal barone Vincenzo Scala, titolare del botteghino del teatro Nuovo di Napoli per scritturarlo come “vedetta” in alcuni spettacoli di Mario Mangini e di Eduardo Scarpetta, tra cui Miseria e nobiltàMessalina e I tre moschettieri (dove impersonò d’Artagnan), accanto a Titina De Filippo, sorella di Eduardo e Peppino.

Debutta sul grande schermo con il film Fermo con le mani (1937), il quale però non riscuote grande successo. L’attore continua comunque la sua attività alternando teatro e cinema, producendo un repertorio molto vasto che lo ha portato al grande successo solo più tardi, negli anni ’50, recitando in compagnia di Aldo Fabrizi (celebre la pellicola Guardie e ladri) e di Peppino de Filippo (tra le più straordinarie pellicole ricordiamo Totò, Peppino e la malafimmina, La banda degli onesti, Totò, Peppino e i fuorilegge) , anche lui consacratosi al cinema dopo aver rotto con il fratello maggiore.

Totò, Peppino de Filippo e Giacomo Furia in una celebre scena del film La banda degli onesti (1956).

Totò interpretò dal 1937 fino alla morte (nel 1967) ben 97 film per il grande schermo, quasi sempre come attore protagonista, per una media di oltre 4 all’anno (numero che non tiene conto della sua pausa durante la guerra). Lavorò con 42 registi differenti, quelli con cui produsse maggiormente furono Mario Mattoli (16 film), Steno (14 film), Camillo Mastrocinque (11 film), Sergio Corbucci (7 film), Mario Monicelli (7 film) e Carlo Ludovico Bragaglia (6 film).

Il totoismo: aspetti della lingua di Totò

Oltre le abilità attoriali, risaltano anche quelle linguistiche, peculiarità non indifferente della figura dell’attore la quale è stata (e ancora lo è) oggetto di studio di noti linguisti e cinematografi. Citando alcuni passi del libro del prof. Fabio RossiLa lingua in gioco. Da Totò a lezione di retorica”, la lingua dei film con Totò è:

puro suono fine a sé stesso, malleabile, manipolabile all’infinito, spesso senza alcuna apparente utilità. […] l’ascoltatore-spettatore è perturbato nell’assistere al dissolvimento del codice di comunicazione ridotto a mero suono o a veicolo di significati lontanissimi. (pp. 18-19)

Sembra che emerga un tentativo di confondere il pubblico, ma in realtà l’operazione adottata da Totò è lungimirante:

l’importanza linguistica di Totò non è consistita tanto nell’invenzione o nell’abuso di singole forme, ma nell’aver portato il linguaggio al centro dei propri spettacoli, della propria riflessione, e nell’aver svolto un ruolo non marginale. (p. 24)

La sua lingua diventa, così, “iper parlata”, poiché è composta da un insieme di “gradazioni possibili a scopo ora ludico-deformante, ora ironico-satirico”(Lingua italiana e cinema, Fabio Rossi, p.81). Volendo scendere nel pratico, tra le formule più care ricordiamo che che, è (o fa) d’uopo, etiandio, quisquillie, bazzecole e pinzillacchere (“cosa da nulla” “reca proprio, come prima attestazione nota nei vocabolari, il 1930 ed è attribuita a Totò” cit.) Tutti i suoi film sono costruiti “sul gioco verbale”, servendosi di due figure retoriche: la paronomasia, per la quale si accostano due parole di suono simile o uguale ma di significato differente, e la polisemia, vale a dire “lo scambio tra significati diversi di una medesima parola”.

L’anima poetica

Fotografia in bianco e nero di Totò.

La livella è le escroveto che l’usa il muratore per nivelari il muro, dunqueOgn’anno, il due novembre, c’é l’usanzaPer i defunti andare al CimiteroOgnuno ll’adda fà chesta crianzaOgnuno adda tené chistu penzieroOgn’anno, puntualmente, in questo giornoDi questa triste e mesta ricorrenzaAnch’io ci vado, e con dei fiori adornoIl loculo marmoreo ‘e zi’ Vicenza

Tra le poesie più note, ‘A Livella rappresenta un unicum nella vita artistica di Totò. Composta nel 1964 e formata da 104 versi, la poesia affronta con ironia il tema della morte, dimostrando come al di là dello status che possediamo in vita, davanti all’ultimo passo siamo tutti uguali e umani, come se tutto si azzerasse:

‘Nu rre,’nu maggistrato,’nu grand’ommo,
trasenno stu canciello ha fatt’o punto
c’ha perzo tutto,’a vita e pure ‘o nomme:
tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò, stamme a ssenti…nun fa”o restivo,
suppuorteme vicino-che te ‘mporta?

Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:
nuje simmo serie…appartenimmo à morte!

Tra innumerevoli successi, – ma anche dispiaceri, come la morte del figlio e la malattia agli occhi, – Totò è stato l’attore napoletano che più di tutti, all’epoca, ha interpretato egregiamente i vizi e le caratteristiche tipiche dell’italiano medio, e anche del napoletano, omaggiando sempre la sua terra. Non è dato sapere se un altro come lui possa rinascere, quel che è certo è che ha ispirato generazioni di attori e commediografi napoletani e continua ancora, poiché il suo immaginario non si può mica dimenticare. Per dirla con una sua frase: “ma mi faccia il piacere!

 

Federico Ferrara