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In ricordo del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa

Santa Talia
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Eventi
Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa Nuccio Anselmo Simona Dalla Chiesa Strage di via Carini

Venerdì 2 dicembre, nel quarantennale della strage di via Carini, l’Aula Magna del Rettorato dell’Università di Messina ha ospitato l’evento “Un eroe del nostro tempo”, in ricordo del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
 
Hanno preso parte alla commemorazione il prof. Luigi Chiara, ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Messina, il dott. Emanuele Crescenti, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palmi, il Generale Riccardo Galletta, Comandante Interregionale Carabinieri “Culqualber” e il giornalista Nuccio Anselmo, moderatore del convegno. Presente all’evento anche Simona Dalla Chiesa, giornalista e figlia del Generale Dalla Chiesa, che ha condiviso con i presenti il ricordo del padre e un invito alla legalità rivolto in particolare ai giovani (qui la nostra intervista).

Gli interventi degli ospiti

L’evento si è aperto con i saluti istituzionali del Rettore, Prof. Salvatore Cuzzocrea.

Il Generale Carlo Alberto era un uomo di Stato. È vero che Sagunto è stata espugnata, ma se oggi la nostra regione è un po’ più libera lo dobbiamo a tutti gli uomini e le donne come lui, che non si sono fermati, che non hanno avuto paura, che non si sono tirati indietro.

Il pensiero del Rettore è stato rivolto anche alle famiglie degli uomini che hanno perso la vita per difendere i propri ideali, impegnate a mantenere vivo il ricordo dei loro cari e a promuovere quei valori che li hanno guidati.
 
Il prof. Luigi Chiara ha delineato il contesto storico in cui ha operato il Generale Dalla Chiesa“un uomo del Novecento con profonde radici nel secolo precedente” , una delle figure più coinvolte nella lotta al terrorismo degli anni Settanta e Ottanta.

Il Procuratore Emanuele Crescenti ha in seguito illustrato il metodo investigativo del Generale, il cui contributo è stato essenziale per la formazione della cosiddetta “generazione antimafia”.
 La sua vita lo portò, sia sul piano temporale che su quello territoriale, a conoscere bene i fatti e a comprendere il modo d’agire più efficace. Il Generale Riccardo Galletta ha infatti riconosciuto nella figura del Generale “il precursore dei metodi divenuti fondamentali nella lotta ai fenomeni del malaffare”.

Il Magnifico rettore dell’Università degli Studi di Messina Salvatore Cuzzocrea durante il suo intervento.

Simona Dalla Chiesa e “un papà con gli alamari”

In un intervento toccante e particolarmente coinvolgente, la Dott.ssa Dalla Chiesa ha condiviso con i presenti i ricordi che la legano al padre, completando l’analisi della sfera professionale del Generale avviata dagli ospiti presenti e ampliandola con l’aggiunta di dettagli inediti riguardanti quella privata e l’ambito familiare.
 
Dalla narrazione emerge la descrizione di un uomo rigoroso, autorevole, votato alla difesa della giustizia e delle istituzioni.
Preservare la democrazia, dalla resistenza in poi, è stato l’elemento conduttore di tutta la sua vita. Il rigore nella fase investigativa, tuttavia, trovava un contraltare nel momento in cui si approcciava umanamente al fatto, così infatti  Dalla Chiesa affrontò i terribili anni di piombo. Al senso del dovere il Generale accompagnava una profonda empatia nei confronti dei terroristi.
 
La figura professionale e quella umana si fondono nella biografia scritta da Simona Dalla Chiesa. Il titolo del libro, “Un papà con gli alamari”, denota l’impossibilità di separare l’uomo dal Generale, di liberarsi da quegli alamari cuciti sulla pelle, segno indelebile di un’identità ben definita. Proprio in virtù di quell’identità, la Dottoressa ha spiegato l’assenza di un’opposizione da parte della famiglia all’operato del Generale nonostante i rischi professionali che ne derivavano. 

Non ci sarebbe mai venuto in mente di bloccare l’attività di papà o contestare le sue scelte, per quanto rischiose potessero essere e per quali effetti potessero avere, anche su di noi.
Il dopo è stato pesantissimo, però c’erano due strade: nutrire la rabbia, non solo verso la mafia, ma anche nei confronti delle istituzioni che lo avevano abbandonato, oppure attingere proprio a quei valori, portare avanti il suo messaggio, a partire dalle scuole elementari fino a tutti i livelli di studio e di professione. E poi parlare, parlare per fare memoria, per mantenere vivo quel ricordo e perché la sua morte e quella di tanti altri, non fosse stata inutile.
La forza trasmessa dai suoi insegnamenti ci ha aiutato a superare il senso di rabbia e di vendetta, trasformandolo in un impegno a favore della collettività.

Il dialogo con Nuccio Anselmo

Nuccio Anselmo, giornalista e moderatore dell’evento, ha condiviso con i presenti la lettera scritta dal Generale Dalla Chiesa sul volo diretto a Palermo e indirizzata ai figli, in previsione di un periodo difficile determinato dal nuovo incarico. 

Vi voglio bene, tanto. In questo momento vi chiedo di essermi vicino, così come nei mesi e negli anni che verranno. Vogliatevi soprattutto e sempre il bene di ora. Quanto vi ho scritto, l’ho fatto a sette/ottomila metri di altezza, in cielo, mentre l’aereo mi portava veloce verso Palermo (…) Certamente ero e sono stato più vicino lassù alla cara, dolce immagine di mamma. Vi abbraccio forte forte. Il vostro papà.

Da questo “testamento morale” affiora la piena consapevolezza del Generale verso ciò che lo attendeva, non in riferimento alla sfida professionale, ma a quella con la solitudine, parola chiave della breve permanenza a Palermo.

Aula Magna del rettorato durante l’incontro.

In chiusura dell’evento Nuccio Anselmo, occupatosi delle vicende riguardanti la trattativa stato-mafia, ha dialogato con noi, in breve, sulla questione.

Di recente il direttore del Fatto Quotidiano ha affermato, appellandosi al Parlamento, che dovrebbe essere ripresa quella “realtà storica” che molto spesso viene insabbiata. Anche l’ex magistrato Antonio Ingroia ha detto che la trattativa stato-mafia c’è stata, ma che sono stati chiamati a risponderne solamente gli uomini della mafia. Secondo lei, a fronte di tali affermazioni, cosa si dovrebbe fare per rispolverare tale “realtà storica”?

Diciamo che è un argomento complicato. Intanto siamo nell’ambito della cronaca e ci vuole un po’ di tempo perché questa diventi storia. Magari tra qualche anno, quando gli storici scriveranno con la mente un po’ più libera forse si potrà capire meglio qualcosa. In genere è sempre così nella storia del nostro Paese, e anche degli altri paesi, quando la cronaca lascia spazio alla storia si comprende ancora meglio. Dall’altro lato, però, c’è un’esigenza ben precisa, cioè quella di punire se ci sono state delle responsabilità nella trattativa stato-mafia. Ci sono delle sentenze, che voi sicuramente conoscerete, che accertano determinati fatti. Bisogna però vedere fino a che punto queste sentenze hanno colto quello che era il problema giuridico della trattativa stato-mafia, chi l’ha intavolata e chi l’ha favorita, e bisogna vedere ora il proseguo dei processi, ma anche le motivazioni di queste sentenze. Quindi è una materia molto fluida. Non so dare risposte sul fatto di “come”, “chi” e “perché”. Quello che dice Ingroia è sacrosanto. Ingroia è stato linciato proprio per aver portato avanti questa tesi e sappiamo tutti in che modo è stato linciato e cosa ha dovuto pagare di persona, come hanno dovuto pagare di persona anche tanti altri magistrati e servitori dello Stato. Direi che il punto centrale è proprio questo. Quando la cronaca lascerà poi il posto alla storia si potrà capire meglio quello che succede, e noi giornalisti contribuiamo con un pezzetto di cronaca a fare questa storia “futura”.

 

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Serena Previti