Singapore e quel sottile confine tra Smart City e ipercontrollo

Redazione Attualità
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Singapore, l’isola città-Stato situata a sud della Malesia, è considerata in base a varie classifiche la città più tecnologicamente all’avanguardia, oltre che secondo Paese (dopo l’Islanda) più sicuro al mondo. Si tratta di uno Stato in cui non si vedono poliziotti per strada e dove i reati, oltre a non essere commessi, non vengono neppure immaginati: la trasgressione è infatti percepita come una forma di follia. Eppure, stiamo parlando dello stesso luogo in cui esistono ancora pene corporali e pena di morte, incorrendo in un controsenso tanto inestricabile quanto apparente.

Fonte: We Build Value

L’organizzazione statuale della Singapore post-coloniale è frutto del modello di sperimentazione originale di Lee Kuan Yew, consideratone non per puro caso il fondatore. Esso aderisce ad un criterio di massima valorizzazione delle tecnologie digitali, proponendosi all’avanguardia nel mondo contemporaneo seppur con inevitabili riverberi sulla sfera dei diritti dei cittadini, sottoposti a costante e pervasivo controllo. Un presente, quindi, dove a dominare è la pervasività della tecnologia, che se da un lato assicura una grande efficienza, dall’altro assume forme distopiche inquietanti in cui l’autorità può controllare nel dettaglio il movimento degli individui grazie ad un uso disinvolto di dati personali, i cosiddetti Big Data. Con tutto ciò viene da chiedersi: in che modo lo Stato anticipa comportamenti e reati nel pratico?

Il discredito sociale come deterrente

Quello di Singapore è un regime autocratico poggiato, piuttosto che sull’autoritarismo ruvido delle dittature, sulla pervasività della presenza governativa nella vita dei cittadini, basata sullo scambio tra benessere sociale e adesione conformistica al potere.
Durante un recente servizio del TG1 è stata intervistata una ragazza di nome Crystal Abidin, considerata una delle migliori menti under 30 al mondo nello studio dei comportamenti dei nativi digitali:

“Qui anche le razze sono profilate. In aeroporto un software riconosce i volti: il sistema riconosce l’etnia, e in base alla casistica, alcune razze vengono fermate più spesso di altre. Decide tutto l’algoritmo.”

In foto, la ricercatrice Crystal Abidin. Fonte: WISHCRYS

L’antropologa della Western Australia University continua poi dicendo:

“Nessuno è disturbato dal controllo, la nostra è una società pragmatica: privacy, diritti umani, libertà d’informazione, sorveglianza di massa. Di tutto questo, ancora una volta, non c’è coscienza. Nessuno si pone domande se vive in una società confortevole, ricca e dove a casa il cibo è assicurato.”

Sono affermazioni che fanno di certo riflettere molto, ma la scelta di Singapore del discredito sociale come metodo efficace per combattere l’elusione è ancor più sbalorditivo: dal momento che il PIL pro-capite del Paese è tra i più alti al mondo, se qualcuno getta ad esempio una carta a terra le telecamere lo riconoscono e la polizia, invece dei soldi infliggerà come pena di dover indossare una maglia fosforescente con su scritto ‘litterer’ (colui che sporca) per una settimana. E se lo rifarà, dovrà anche pulire il parco.

Con lo stesso metodo della sorveglianza già nel 2016 è stato arrestato un uomo prima che commettesse uno stupro, dopo che erano stati registrati e filmati comportamenti anomali, e un gruppo di terroristi che preparava un attentato alla vigilia del Gran Premio di Formula 1 di Singapore.

È così che viene portata avanti una società disciplinare: invece di punire a valle i reati si inducono i cittadini a comportarsi bene usando i Big Data. Lo Stato li raccoglie in un super computer e li analizza per creare algoritmi che regolino la vita dei cittadini in modo da anticiparne i bisogni, ancor prima che vengano espressi, approfittandone, tra le altre cose, per orientare dolcemente i comportamenti futuri in modo efficiente per la comunità. Tutto è inquietantemente data-driven, guidato cioè dai dati.

Confucianesimo: il “consenso dietro benessere”

Il filosofo Confucio. Fonte: Scaffale cinese

Singapore è una città-Stato multietnica, con una comunità cinese – suddivisa in diversi gruppi linguistici – rappresentante il 77% della popolazione residente. La seconda comunità, quella malese raggiunge il 14%; gli indiani l’8%, gli euroasiatici ed arabi poco più dell’1%. Venendo a conoscenza di un simile assetto viene forse più semplice immedesimarsi nei panni di chi ha ritenuto indispensabile il rigore per impedire scontri tra etnie e ricostruire un’identità comune al momento della formazione del Paese.

La proiezione verso il ruolo di quarta potenza finanziaria globale e di modello avanzato di Smart City, descrivono la traiettoria di un innegabile successo dell’esperienza singaporiana, se riguardato esclusivamente dal punto di vista efficientistico, all’interno di una cultura ispirata ai valori confuciani.

La base dottrinaria del confucianesimo (che sostiene l’adesione del popolo alle gerarchie) considera le élite al governo alla stregua di civil servants a servizio della comunità. La selezione delle élite avviene per merito e per virtù e la funzione di governo è vocata al conseguimento del benessere collettivo. In questo schema si rende possibile l’attuazione del sinallagma “consenso dietro benessere”.

Ecco, quindi, che i singaporiani neppure si pongono il problema della privacy:

“Tutto funziona, quindi la gente non pensa alla tecnologia separata dalla vita perché ormai è tutt’uno. Da voi in Europa non è ancora così. Noi abbiamo un numero identificativo che ci segue dappertutto, a scuola, a lavoro. Non ci si fa più caso”, ha sottolineato la giovane antropologa Crystal Abidin.

“Smart Cities” sempre più diffuse

Da tempo, il governo di questa città-stato è impegnato nella creazione di una Smart Nation, al fine di migliorare la vita dei propri residenti attraverso l’utilizzo di svariate tecnologie. Ma proprio perché è così avanzata tecnologicamente, è anche un laboratorio per il futuro dei centri urbani. I visionari di WOHA, celebre studio di architettura con sede a Singapore, fondato nel 1994 da Wong Mun Summ e Richard Hassell, hanno realizzato il video Singapore 2100, che presenta questo insediamento come una città 50/50: metà della superficie è destinata alla natura e metà agli spazi urbani. Grazie alla biodiversità che prospera, l’effetto dell’isola di calore si riduce, l’aria è più pulita e la qualità della vita degli abitanti migliora.

Sono realtà che si ripetono, con diverse sfumature, anche in altri Paesi asiatici caratterizzati da megalopoli ipertecnologiche: dal Giappone alla Corea del Sud, passando per l’Arabia Saudita e la Cina, le smart city costituiscono modelli virtuosi di sostenibilità e sono pioniere di progetti suggestivi e rivoluzionari in grado di rafforzare la sicurezza urbana e di garantire una gestione attenta dell’energia. L’idea comune a tutte queste città del futuro è quella di creare un nuovo standard di vita urbana con regole diverse e infrastrutture intelligenti in grado di supportare i cittadini nelle loro attività quotidiane, dalle più banali alle più complesse.

Anche in Italia il processo di cambiamento sta procedendo rapidamente e, nonostante il notevole divario tecnologico rispetto alle metropoli più avanzate, le città italiane stanno diventando sempre più sostenibili e digitalizzate: tra queste Firenze, Milano e Bologna aventi il ruolo di leader.

Il 13% di Singapore sarà milionario entro il 2030

L’Asia ospita attualmente 16 delle 28 megalopoli del mondo e il dato non deve affatto sorprendere: le città asiatiche sono caratterizzate da un’elevata densità di popolazione, tanto che le Nazioni Unite prevedono un raddoppio della loro popolazione urbana entro il 2030. La rapida crescita, alimentata dalla migrazione di massa, porta all’aumento dei redditi e al cambiamento degli stili di vita, il che mette a dura prova le infrastrutture e le risorse urbane, soprattutto nelle aree economicamente emergenti.

Singapore, patria di milionari. Fonte: ItaliaOggi

Un rapporto di HSBC intitolato “The Rise of Asian Wealth” ha indicato con forza che entro il 2030 Singapore vedrà una percentuale più alta della sua popolazione diventare milionaria rispetto a Stati Uniti, Cina e qualsiasi altra nazione dell’Asia Pacifico. Nel 2021 il 7,5% della popolazione dell’avanzata nazione insulare – sia cittadini che residenti permanenti – aveva lo status di milionario, ma si prevede che quel numero salirà al 9,8% nel 2025 e al 13 % nel 2030.

Il rapporto ha spiegato che le economie in più rapida crescita stanno accumulando ricchezza molto più velocemente, evidenziando come paesi quali Vietnam, Filippine e India vedrebbero aumentare coloro con ricchezze superiori a $ 250.000 più del doppio, seguite da vicino anche da Malesia e Indonesia.

Un modello che fa pensare

L’esempio di Singapore fa riflettere sul concetto di datacrazia e sulla costante esigenza di dati da parte di colossi tecnologici e Stati, il che significa principalmente l’inclusione di elementi sempre crescenti di intelligenza artificiale nel mondo umano.
Bisognerebbe poi chiedersi chi vorrà vivere – al di là di chi se lo potrà permettere – in luoghi asettici per quanto “ordinati”, le cui dinamiche che portano le persone a viverci sono molte e incrociano più quel “fascino folle” che un ovattato “ordine”.

In foto, il filosofo Luciano Floridi. Fonte: Il Dubbio

Luciano Floridi, filosofo della Oxford University, sostiene:

”Singapore è un modello che molti hanno in mente con un po’ di invidia, per ragioni di tipo finanziario, educativo e di stabilità sociale. Ma c’è qualcosa di preoccupante in questo modello: una componente di controllo della libertà individuale da parte delle istituzioni. È un luogo che è stato molto criticato da Amnesty International, per esempio, per problematici rapporti con i diritti umani. Singapore è pur sempre un luogo in cui un solo partito ha dominato la scena delle elezioni per gli ultimi 60 anni circa”.

Gaia Cautela