Lucio, insegnaci la vita

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Occhiali tondi, barba, berretto e “canzoni-provocazioni” sono i tratti distintivi del musicista bolognese che amava parlare “alla gente”. Lucio Dalla moriva dieci anni fa, l’1 marzo del 2012, all’età di 69 anni.

Con la sua musica Dalla ricercava insaziabilmente “l’altro”, lo voleva raggiungere ad ogni costo, pur discostandosi da quelli che erano i canoni musicali del periodo. Scrivere canzoni belle, prodotti di qualità in grado di raggiungere l’altro, era per lui il massimo compito politico. Ma questo fu anche uno dei motivi che lo resero – per i suoi primi anni di carriera – un artista parzialmente incompreso, incollocabile dalle etichette discografiche. Dalla sentiva il bisogno di arrivare agli altri, ma forse era il mondo a non esser pronto ad ascoltarlo.

 “Com’è profondo il mare”: cover, 1977. Fonte: RCA

Tutto cambiò quando nel ‘77, dopo la fine del sodalizio artistico col poeta Roversi, il musicista pubblicò Com’è profondo il mare, uno dei più grandi capolavori della musica italiana. La canzone potrebbe essere quasi definita come il suo primo vero esordio. Da quel momento in poi l’ascesa: Dalla era diventato il musicista più popolare d’Italia.

Il disco perfetto

Il cantautore bolognese aveva individuato una formula perfetta, che salvava la qualità artistica e aveva un appeal irresistibile per le masse. Forse esagero, ma era un po’ il Calcutta della vecchia generazione!

E appena due anni dopo il fortunato Com’è profondo il mare, nel ‘79, l’artista pubblicò quello che da molti è considerato il suo disco perfetto: Lucio Dalla.

 “Lucio Dalla”: cover, 1979. Fonte: RCA

L’album ci parla di disperazione e di speranza, di orrore e di dolcezza, di amore e di odio. Ne è un esempio la traccia d’apertura, L’ultima luna, che ci ricorda quante siano le assurdità che governano questo mondo ma anche come le cose possano cambiare col tempo, sottolineando l’importanza della fede. Perché Dalla crede in Dio, crede nell’amore, ma soprattutto crede nell’uomo e nella sua libertà di essere e di vivere.

Nell’album è contenuta una delle canzoni più amate dell’autore: Anna e Marco, la storia di due ragazzi che si trovano al principio della loro vita, dubbiosi e irrequieti. Anna, “stella di periferia”, che scontenta della propria esistenza vede la felicità scorrerle come pioggia sul viso. «Anna bello sguardo/ Sguardo che ogni giorno perde qualcosa». E Marco, il «lupo di periferia» che si sente soffocare da quell’assurda quotidianità. I due si capiscono e condividono la stessa angoscia, le stesse paure: «si scambiano la pelle.» Per poi volare nel cielo di notte, con la luna che li guarda e – come il destino – a volte mette anche un po’ di paura.

Del resto, quando siamo giovani, siamo talmente attaccati alla vita che ci sembra di non viverla abbastanza, ci sembra di non riuscire a realizzare i nostri sogni, che appaiono sempre lontani da raggiungere. Perché citando Calvino, «alle volte uno si sente incompleto ed è soltanto giovane.»

La potenza immaginifica

Ascoltare Lucio, dunque, è un po’ come immergersi in una dimensione onirica, quasi surreale. Pensiamo alla notte, con la sua luna e le infinite stelle, una presenza costante all’interno dei suoi testi. Nella notte tutto è magia, chiunque può sognare: lo fanno Anna e Marco che tenendosi per mano camminano tra le stelle; lo fa Sonni Boi, al parco della luna, che delle stelle ne ha fatto una mappa sulle sue braccia.

E lo fa un vecchio cuore innamorato, in una poesia dalla dolcezza inestimabile: Caral, la struggente storia di un uomo che resta impigliato fra i lunghi capelli di una ragazza molto più giovane di lui.

“Conosco un posto nel mio cuore
Dove tira sempre il vento
Per i tuoi pochi anni e per i miei che sono cento”

Ma la vita non si ferma e insieme alla ragazza vola via, come una farfalla. Anche la forza delle parole andando avanti si fa sempre più potente, arrivando a scontrarsi con la meravigliosa arte del pittore francese, Marc Chagall, facendoci dono, ancora per una volta, di un’immagine a dir poco stupenda.

“Ma per uno come me l’ho già detto
Che voleva prenderti per mano e volare sopra un tetto”

Marc Chagall, Sulla città, 1918. Fonte: agoravox.it

La canzone, che inizialmente si sarebbe dovuta chiamare Dialettica dell’immaginario, è nata proprio dalla prima bozza di una sceneggiatura dello stesso Lucio.  L’ha dichiarato lui stesso più volte nelle sue interviste, e lo possiamo notare anche noi dall’andamento cinematografico delle scene.

Non è infatti una novità l’interesse che Dalla nutriva per altre forme d’arte, come la pittura, il teatro e soprattutto il cinema.

Lucio Dalla: il musicista del popolo

Il cantautore bolognese per tutta la sua vita non ha mai abbandonato l’atteggiamento goliardico e fuori dagli schemi, che anzi ha segnato il suo percorso artistico fin dagli inizi. Già ai tempi dei Flippers, che gli avevano consentito l’accesso nel magico regno del pop italiano, aveva dato dimostrazione del proprio modo “giocoso” di stare sul palco. Ma anche delle sue modeste origini. Era infatti piuttosto trasandato e spesso indossava calzini bucati, che a volte toglieva del tutto, dipingendosi le caviglie con un pennarello nero.

Dalla non è stato solo un grande artista del nostro tempo. Dalla è come un buon farmaco, adatto a tutte le età: per le incertezze torride adolescenziali e per le malinconie fredde della maturità e della vecchiaia. Lucio, che ti disegnavi i calzini con il pennarello, insegnaci la vita!

 

Domenico Leonello