Sono state depositate le motivazioni della condanna a 13 anni per Mimmo Lucano

Redazione Attualità
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Sono state depositate le motivazioni della sentenza emessa lo scorso 30 settembre dal Tribunale di Locri nell’ambito del processo “Xenia” che vede coinvolto l’ex sindaco del Comune di Riace Domenico Lucano. Nelle 904 pagine, disponibili da ieri e liberamente consultabili, si evince il ragionamento e i motivi che hanno portato alla condanna in primo grado a 13 anni e 2 mesi per l’inventore del “Modello Riace”.

Mimmo Lucano, fonte: il Manifesto

Cos’è il Modello Riace

Mimmo Lucano è stato sindaco del Comune di Riace per tre mandati consecutivi (dal 2004 al 2020) durante i quali ha trasformato il piccolo borgo calabrese, avviato da tempo ad un lento declino economico e demografico, in un punto di riferimento in materia di accoglienza e integrazione. Il lavoro di Lucano, iniziato da privato cittadino con la sua associazione Riace Futura nel 1999, si è sempre fondato su un presupposto logico: è impossibile accogliere concretamente dei rifugiati senza attivamente cercare di integrarli nel tessuto sociale. A tal fine nel corso degli anni sono stati avviati corsi di lingua italiana e finanziate numerose micro attività per creare lavoro, rivitalizzando così l’economia locale ed evitando che i migranti cadessero nelle mani della manovalanza caporale e mafiosa. La storia di Riace sale agli onori della cronaca durante il periodo dei grandi flussi migratori che mettono in crisi l’Europa e la figura di Mimmo Lucano diviene oggetto di dibattito e di diverse narrazioni. Nel 2010 si posiziona terzo posto nella classifica dei migliori sindaci del mondo e sempre nello stesso anno è al quarantesimo in quella dei leader più influenti secondo la rivista americana Fortune. In politica interna però viene duramente criticato dalla destra italiana, la cui propaganda si è spesso incentrata sulla lotta “all’invasione”, mentre la sinistra lo elogia al punto da divenire figura di culto nella lotta alla xenofobia e al razzismo. Quel che è certo è che mai come sotto la guida di Lucano il piccolo comune calabrese riceva attenzione mediatica ma soprattutto fondi per il rilancio delle sue infrastrutture e attività.

Il processo “Xenia” e la sentenza di condanna in primo grado

Tra il 2014 e il 2016 il Modello Riace, proprio per la difficile gestione dei fondi e il numero sempre maggiore di migranti inviati dallo Stato, sembra entrare in crisi. Contestualmente con la nomina a Prefetto di Reggio Calabria di Michele di Bari iniziano anche le ispezioni da parte della prefettura e della Guardia di Finanza e nel corso delle stesse vengono redatte quattro relazioni: due a favore e due contrarie. Una delle relazioni aventi avuto esito favorevole appare particolarmente sospetta, sia per la narrazione che viene fatta del Comune di Riace che per il modo in cui si discosta dalla descrizione, qui particolarmente positiva, della figura di Mimmo Lucano che viene invece pesantemente criticata nelle altre tre relazioni. Sospetti che successivamente porteranno a scoprire, nel corso di alcune intercettazioni, un nesso di stretta vicinanza tra tre dei quattro ispettori che hanno redatto la relazione e lo stesso sindaco di Riace. Sempre attraverso le intercettazioni verranno a galla anche numerosi altri aspetti negativi nell’ambito della gestione del “Modello Riace” quali l’assegnazione di appalti, gestione dei fondi statali e organizzazione di matrimoni al mero fine di riconoscimento della cittadinanza agli stranieri. Nell’ottobre del 2017 quindi Mimmo Lucano viene iscritto al registro degli indagati nel processo Xenia con l’accusa di truffa aggravata di fondi pubblici ed europei, concussione, abuso di ufficio e numerosi altri reati. Accuse in cui il giudice, a differenza del Pubblico Ministero Luigi d’Alessio che aveva rinvenuto un unico grande disegno criminoso e che chiedeva perciò per l’ex sindaco di Riace 7 anni e 11 mesi di carcere, riconosce ben due disegni criminosi. Un primo disegno incentrato sulle accuse di associazione a delinquere, peculato e truffa aggravata (la cui somma totale delle pene è di 10 anni e 4 mesi) e un secondo riguardante il falso pubblico e l’abuso d’ufficio (2 anni e 10 mesi). Il ragionamento ha portato il giudice nel settembre 2021 a condannare in primo grado Mimmo Lucano a 13 anni e 2 mesi di reclusione, notizia che è stata accolta con particolare sgomento da parte dell’opinione pubblica per la durezza della pena.

Le motivazioni della sentenza e la reazione di Mimmo Lucano

Dalla sentenza sono passati tre mesi, tempo fisiologico e necessario per la redazione delle motivazioni della condanna. Nelle quasi mille pagine consegnate alla segreteria della Sezione Penale del Tribunale di Locri si evince come il giudice abbia riconosciuto in Mimmo Lucano il “dominus indiscusso” di un’associazione a delinquere finalizzata “alla strumentalizzazione del sistema di accoglienza a beneficio della sua immagine politica”. Lucano infatti, resosi conto dell’ampia copertura delle spese di gestione del Modello Riace da parte dei fondi di provenienza statale ed europea, ha preferito invece che restituire le eccedenze destinarle ad investimenti in forma privata nel territorio. Tali investimenti “costituivano una forma sicura di suo arricchimento personale su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera”. Il Presidente del Tribunale, Domenico Accurso, pur esprimendosi in termini positivi per “la realizzazione dell’encomiabile progetto inclusivo che si traduceva nel cosiddetto Modello Riace, invidiato e preso ad esempio da tutto il mondo” non manca di sottolineare come Lucano fosse a capo di una vera e propria organizzazione. Un’organizzazione definita “tutt’altro che rudimentale, che rispettava regole precise a cui tutti si assoggettavano, permeata dal ruolo centrale, trainante e carismatico di Lucano il quale consentiva ai partecipi da lui prescelti di entrare nel cerchio rassicurante della sua protezione associativa, per poter conseguire illeciti profitti, attraverso i sofisticati meccanismi, collaudati negli anni e che ciascuno eseguiva fornendogli in cambio sostegno elettorale”.

Tra gli investimenti effettuati con i soldi del progetto di accoglienza per i migranti vi sono un frantoio “e numerosi beni immobili da destinare ad alberghi per l’accoglienza turistica” i cui proventi avrebbero fornito una sicurezza economica per il futuro. Lucano si sentiva “ormai stanco per quanto già realizzato in quello specifico settore”. A nulla sono valsi i richiami alle ispezioni effettuate dalla Guardia di Finanza presso la sua abitazione e i suoi uffici e che descrivono nelle relazioni stilate uno stile di vita povero. Secondo il giudice questi sono solamente artifici creati al fine di mantenere l’aspetto del sindaco buon samaritano che in realtà non agisce per salvaguardare la vita dei migranti bensì “per mero profitto, mediante meccanismi illeciti e perversi, fondati sulla cupidigia e sull’avidità”. Lucano si è detto sorpreso: “non mi aspettavo di certo dei complimenti ma nemmeno accuse false”. “E’ tutto molto strano, dal processo non si evince per nulla l’interesse economico, si cerca unicamente di screditare e infangare ancora una volta la mia immagine ma io non voglio che la gente abbia dubbi su di me”.

 

Filippo Giletto