Una svolta nella storia dei diritti: il primo sì al suicidio assistito in Italia

Redazione Attualità
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“Dopo oltre un anno dall’inizio di questa battaglia, anche legale, Mario ha finalmente ricevuto il parere che attendeva: il Comitato Etico ha riscontrato i requisiti delle condizioni stabilite dalla Corte Costituzionale per l’accesso al suicidio assistito. È la prima volta in Italia.”. Scrive, così, tramite i propri canali social l’associazione Luca Coscioni, per comunicare che in Italia, per la prima volta, una persona potrà usufruire del suicidio assistito.

(fonte: notizie.it)

Si tratta di Mario, marchigiano di quarantatré anni, di cui gli ultimi undici vissuti da tetraplegico. La colpa di un incidente stradale.

Da oltre un anno, precisamente nell’agosto 2020, Mario aveva inoltrato una richiesta, all’Azienda sanitaria delle Marche, perché fossero verificate le sue condizioni di salute e poter poi accedere, legalmente, ad un farmaco letale per porre fine alla sua sofferenza.

Nel 2019 fu, infatti, approvata la sentenza della Corte Costituzionale in merito al caso di Marco Cappato, il politico e attivista, Tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, il quale era stato accusato di istigazione al suicidio, in base all’articolo 580 del Codice penale. Aveva aiutato Fabiano Antoniani, più noto come dj Fabo, a raggiungere la Svizzera e sottoporsi alla procedura di suicidio assistito.

 

La storia di dj Fabo, l’inizio di tutto

Fabo (fonte: ANSA)

Fabo era rimasto paralizzato e cieco dopo un incidente stradale. Marco Cappato aveva percepito tutta la sua sofferenza e così decise di correre lo stesso il rischio, andando contro la Legge italiana e incontro alla possibilità di finire per 12 anni in carcere.

“Sono arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato” scrisse Fabo su Facebook, nel suo ultimo messaggio, concludendo con un grazie a Cappato. Il dj che, con la sua vicenda, ha dato inizio a un profondo cambiamento nel nostro Paese, era diventato già da molti mesi prima il simbolo della lotta per l’approvazione di una legge sull’eutanasia e sul testamento biologico in Italia. Marco, invece, stava portando avanti da tempo la campagna “Eutanasia legale”.

Nel 2017, anno della vicenda, la discussione alla Camera dei deputati per il testamento biologico era stata posposta per tre volte, fino a essere rimandata al marzo, mentre le proposte di legge sull’eutanasia erano bloccate in Commissione da circa un anno. Davanti a questo, Cappato non si era trattenuto da dichiarazioni durissime contro i politici, convincendosi sempre più che la vita debba essere giudicata qualitativamente e non quantitativamente e, soprattutto, battendosi ancora più forte, in nome di Fabo e molti altri italiani che sono dovuti fuggire dall’Italia per poter morire, tramite le procedure esistenti, ma qui ancora illegali.

Due procedure diverse

Prima di procedere, vogliamo ricordare che il suicidio assistito e l’eutanasia sono due pratiche distinte: infatti, perché si tratti della prima delle due, il farmaco necessario a provocare il decesso viene assunto dalla persona malata in modo autonomo; per l’eutanasia, invece, è fondamentale il ruolo del medico, poiché, nel caso in cui essa sia “attiva”, è quest’ultimo a somministrare il farmaco letale, mentre per quella “passiva” sospende le cure o spegne i macchinari che tengono in vita la persona.

Dopo che Fabo se n’è andato, l’eutanasia passiva è stata resa legale con una legge sul testamento biologico, del gennaio 2018. Non ci sono, invece, mai state norme che regolamentassero l’eutanasia attiva e il suicidio assistito, ma entrambe si possono praticare in seguito all’emanazione della suddetta sentenza della Corte Costituzionale sul caso Cappato. Questa prevede che vi siano necessariamente determinate condizioni.

 

Più di un anno di attesa perché Mario usufruisse di un suo diritto

Per il 43enne di Ancona, Mario, è stata una lunga battaglia, anche legale, perché si desse inizio alla procedura. La decisione in merito spettava all’Asl marchigiana, la quale respinse la richiesta, rifiutandosi, inoltre, di attivare le procedure previste dalla sentenza del 2019, a partire da quella di verifica delle condizioni del malato.

Le condizioni che verranno ricercate ogni qualvolta verrà presentata una richiesta, delineate dalla Corte Costituzionale, prevedono che: il malato che formula la richiesta sia «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale», sia «affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili» e sia «pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

Mario allora presentò un’istanza al Tribunale di Ancona, lo scorso marzo. Si diede ragione all’Asl: pur riconoscendo che il paziente aveva i requisiti previsti dalla Corte Costituzionale, non era possibile obbligare l’azienda e gli operatori sanitari a garantire il diritto al suicidio assistito.

Poi una svolta. L’uomo aveva, quindi, presentato un reclamo, e il Tribunale, a giugno scorso, ha ribaltato la precedente decisione, ordinando che l’Asl marchigiana verificasse la sussistenza dei criteri che avrebbero reso la richiesta accettabile.

 

Uno storico sì

Così, ieri, è arrivato quello che è stato definito uno storico sì. Il Comitato Etico dell’Azienda sanitaria marchigiana – un organismo indipendente formato da medici e psicologi che ha la responsabilità di garantire la tutela dei diritti dei pazienti – ha deciso che la situazione di Mario rientra nelle condizioni stabilite. Ora restano da definire, però, le modalità di attuazione della procedura.

“Mi sento più leggero, mi sono svuotato di tutta la tensione accumulata in questi anni. – ha dichiarato in un video Mario, una volta appresa la notizia – “Sono stanco e voglio essere libero di scegliere il mio fine di vita. Nessuno può dirmi che non sto troppo male per continuare a vivere in queste condizioni, condannarmi a una vita di torture. – per poi tuonare – Si mettano da parte ideologie, ipocrisia, indifferenza, ognuno si prenda le proprie responsabilità perché si sta giocando sul dolore dei malati.”.

Cappato ha commentato la vicenda definendola un “calvario dovuto allo scaricabarile istituzionale”:

“Dopo la sentenza della Corte Costituzionale, che ha a tutti gli effetti legalizzato il suicidio assistito, nessun malato ha finora potuto beneficiarne, in quanto il Servizio Sanitario Nazionale si nasconde dietro l’assenza di una legge che definisca le procedure. Mario sta comunque andando avanti grazie ai tribunali, rendendo così evidente lo scaricabarile in atto.”.

Cappato, rischiò 12 anni di carcere per aver aiutato dj Fabo (fonte: today.it)

Questa rimane comunque una tematica oggetto di numerose e anche aspri dibattiti. Basti pensare alle pesanti critiche da parte della Chiesa, da sempre attivamente contraria e che, nelle ultime ore, ha rilasciato comunicati in cui invita gli italiani gravemente malati, ad affidarsi, invece, alle cure palliative. Esempio è l’episodio che ha visto protagonista, qualche giorno fa, l’Arcivescovo di Perugia Gualterio Bassetti, che, aprendo la sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente, ha criticato il referendum sulla morte assistita: “Propone una soluzione che rappresenta una sconfitta dell’umano”. Anche il mondo della politica rimane profondamente diviso.

Dal 2006, i casi più noti che hanno scosso le coscienze (fonte: ANSA)

Inoltre, rimangono in sospeso punti fondamentali, per i quali la sentenza della Corte Costituzionale resta solo un’iniziale conquista in tema di suicidio assistito. Infatti, i relatori alla proposta di legge, testo di attuazione della sentenza del 2019, hanno accolto la richiesta del centrodestra di prevedere la possibilità di obiezione di coscienza per il personale sanitario. Dunque, innanzitutto, bisognerà capire se ciò potrà configurarsi come un grosso impedimento per tutti coloro che vorranno fare la stessa scelta di Mario o di Fabo.

 

Rita Bonaccurso