Cowboy Bebop: rispolveriamo la serie originale

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L’opera magna di Watanabe, capace di divertire ed appassionare, si conferma una tappa imprescindibile per gli appassionati di animazione giapponese – Voto UVM: 5/5

Da oggi è disponibile su Netflix il live action di una delle serie cult dell’animazione giapponese degli anni ’90: Cowboy Bebop. In attesa di poter vedere questa nuova versione è sempre importante ricordare la serie originale.

L’anime sci-fi prodotto da Sunrise e diretto da Shin’ichirō Watanabe è disponibile già da tempo sulla stessa piattaforma streaming con tutti e 26 gli episodi che lo compongono. Si tratta senza dubbio di un must watch per gli appassionati di animazione nipponica.

Le vicende dei protagonisti Spike Spiegel, Jet Black e Faye Valentine hanno fatto appassionare tantissimi fan, regalando, attraverso una narrazione verticale, puntate sempre avvincenti in cui molto viene lasciato all’intuito dello spettatore.

Honky Tonk Women (1×03)

La serie futuristica con un occhio al presente e l’altro al passato

Il paradosso creato da Watanabe è il vero fulcro dell’intera serie: i tre protagonisti principali, pur essendo uomini del futuro, dipendono dal loro passato.

Spike è un cacciatore di taglie con un conto in sospeso che ne condiziona il presente: egli (per sua stessa ammissione) non riesce a vedere il futuro. Jet è la sua spalla ed ha un passato altrettanto travagliato: sono tanti i traumi che lo hanno portato a perdere la fiducia in un futuro migliore e a vivere dunque il presente con distacco. Faye invece un passato non lo possiede neanche (a causa delle perdita della memoria dopo un misterioso incidente): non ha amici ed è sommersa di debiti; questo la obbliga a vivere alla giornata. Si sente sola in un tempo che non le appartiene: il suo presente è dedicato a recuperare il suo passato, di conseguenza anche il suo futuro è altrettanto nebuloso.

Tutti e tre hanno un conto in sospeso con il tempo, tutti e tre sembrano esistere solo nell’immediato.

L’ambientazione ed il melting pot di generi

La storia è ambientata nel 2071, un futuro in cui i viaggi spaziali sono all’ordine del giorno e Marte è diventato il centro della civiltà umana. Quello che impressiona fin da subito è lo stile che Watanabe ha dato al proprio prodotto mischiando elementi tipici del genere sci-fi all’animazione giapponese mainstream delle arti marziali, condendole con altre influenze, dal poliziesco noir al western.

Tutti questi generi convivono in maniera pacifica e strabiliante all’interno della stessa ambientazione. Si passa così da puntate che si risolvono con la più classica delle sparatorie ad episodi che presentano scontri spaziali tra navicelle. Il mondo di Cowboy Bebop si presta a qualsiasi soluzione narrativa in un futuro lontano in cui nessun riferimento sembra essere fuori posto.

Ballad of Fallen Angels (1 x 05)

La narrazione verticale come valore aggiunto

Le singole puntate delle serie sono perfettamente in grado di reggersi da sole: sono veramente pochi i casi in cui una singola storia è spezzata in due episodi (solo due per la precisione).

Una delle argomentazioni più inflazionate dei detrattori della serie attacca proprio questo aspetto, poiché, a onor del vero questa narrazione lascia poco spazio alla curiosità dello spettatore che vorrebbe sapere tutto e subito. La scelta rende però gli episodi molto godibili anche se presi singolarmente.

Watanabe è stato capace di far rientrare nei 20 minuti di ogni puntata delle ottime storie circolari in grado di intrattenere e divertire lo spettatore.

Un’altra delle critiche più sentite riguarda invece gli episodi stessi ritenuti troppo ripetitivi nello sviluppo delle trame. La serie di certo non si presenta come il prodotto più adatto per gli amanti dell’adrenalina e dei colpi di scena. Quello di Cowboy Bebop è il racconto della frenetica quotidianità di un gruppo di cacciatori di taglie spaziali: la trama di conseguenza è parecchio lineare.

Hard Luck Woman (1 x 24)

 

Ma è sbagliato vedere nella quotidianità raccontata da Cowboy Bebop l’anticamera della monotonia. Le emozioni forti invece sono dietro l’angolo, pronte ad esplodere quando questa routine viene stravolta, lasciando allo spettatore la sensazione che il mondo gli stia cadendo addosso.

Un plauso finale meritano le musiche, in prevalenza jazz, che accompagnano magistralmente ogni singola puntata e che permettono di vivere in maniera ancora più coinvolta le vicende di Spike e del resto del gruppo.

Antonio Ardizzone