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Qui rido io: l’esistenza come teatro

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Martone dipinge magistralmente “miserie e nobiltà” di uno dei più grandi autori teatrali di sempre. Voto UVM: 4/5

 

Che la vita è un teatro è  massima proclamata dalle penne di poeti come William Shakespeare, dalle bocche di saggi di ogni tempo e luogo, ma anche verità sottintesa nei detti dei comuni mortali, incisa nel DNA di ciascuno di noi perché – come diceva Marlon Brando– ogni uomo in fondo è attore. Poi a seconda di gusti e inclinazioni personali, c’è chi intende l’esistenza come un’immane tragedia, chi come un dramma dell’assurdo senza capo né coda e altri ancora come una commedia o ancor meglio un’esilarante farsa in cui gli sforzi dell’attore sono ripagati dalla ricompensa più preziosa del suo pubblico: la risata.

Affamato dell’amore del pubblico e incapace di dividere farsa e vita vera era Eduardo Scarpetta, nome non nuovo per tanti cresciuti a pane, Miseria e nobiltà, nel mito di quel Felice Sciosciammocca con la pasta int’a sacca immortalato dal genio di Totò nella trasposizione cinematografica del ’54.  Affamato di vita e di teatro – come lo era la sua macchietta Sciosciammocca di pane – è soprattutto lo Scarpetta dipinto da Mario Martone in Qui rido io, film presentato alla 78esima Mostra di Venezia, con un magistrale Toni Servillo.

 Show must og on

Siamo agli inizi del Novecento, Eduardo Scarpetta (Toni Servillo) è l’attore e commediografo più famoso di Napoli, una personalità imponente e arrogante, un vero e proprio divo ante litteram acclamato dal pubblico e chiacchierato da tutti, prima ancora dell’avvento di Hollywood e Cinecittà.   Ma Scarpetta è prima di tutto padre, un padre sui generis: padre affezionato di Sciosciammocca, macchietta comica che soppianta a fine Ottocento la maschera di Pulcinella, padre prolifico di celebri commedie (Miseria e nobiltà, O miedeco d’e pazze, Nu turco napulitano, Na Santarella) così come di una famiglia difficile e ingarbugliata stile tribù da patriarca biblico, un’intera dinastia di talenti che incarneranno la teatralità napoletana.

Eduardo Scarpetta, discendente reale del noto Scarpetta, impersona Vincenzo, figlio legittimo del commediografo. Accanto Alessandro Manna nei panni di un piccolo Eduardo De Filippo. Fonte. amica.it

Tra tutti i De Filippo (Titina, Eduardo, Peppino), concepiti con Luisa, nipote della moglie, che non ereditano il cognome, ma sicuramente l’amore per il teatro, trasmesso quasi come un mestiere artigianale di padre in figlio, come quel Peppiniello che tutti i piccoli della famiglia – figli illegittimi compresi – a turno impersoneranno in una sorta di rito di iniziazione sancito da quel «Vincenzo m’è patre a me!». Proprio in quella battuta è condensato l’intreccio tra vita e teatro che è il focus dell’opera di Martone; nelle luci calde della fotografia di Renato Berta i due palchi – quello dell’esistenza e della commedia- si confondono : quello del povero scrivano Sciosciammocca che si finge Principe di Casador e quello del padre padrone Scarpetta che si fa chiamare zio dai piccoli De Filippo; le quinte dietro cui si nasconde all’incipit lo sguardo attento del piccolo Edoardo e la sua condizione di figlio nascosto del genio.

Toni Servillo e il bravissimo Alessandro Manna in una delle scene più toccanti del film. Fonte: madmass.it

Inizia nel teatro, nel mezzo di quella Miseria e nobiltà che è l’apoteosi di Scarpetta- e finisce sempre nel teatro inconsueto del tribunale, Qui rido io: il perno è quel palco da cui Eduardo Scarpetta non vuole proprio saperne di scendere, di rinunciare a ridere e a far ridere.

Martone scosta il sipario e inquadra solo un piccolo scorcio della vita del commediografo: il periodo difficile del contenzioso con D’Annunzio per aver parodiato il dramma La figlia di Iorio, l’avvento dei cabaret e del cinematografo che sembrano soppiantare la commedia napoletana. Certo si poteva raccontare molto di più per arricchire la trama: nella biografia di Scarpetta e della sua tribù si poteva persino pescare a piene mani per un’avvincente saga familiare (e magari qualcuno lo farà in futuro). Non era questo tuttavia l’intento di regista e sceneggiatori che hanno preferito puntare i riflettori sul teatro che è vita e sulla vita che è teatro, sul rapporto più palpabile e difficile attore teatrale/pubblico, così come padre/figlio, sullo spettacolo che continua mai uguale a sé stesso e va avanti nonostante tutto, nonostante “u scuornu” che una famiglia di teatranti come quella di Scarpetta non sa cos’è.

Felice Sciosciammocca diletta il suo pubblico. Fonte: labiennale.org

Giullare nato

«Volevo essere il re delle feste» afferma un Servillo da dolce vita ne La grande bellezza. Edonista nato, ma decisamente meno malinconico è anche l’Eduardo Scarpetta di Qui rido io, incapace di prendere sul serio persino un processo, farsesco e arrogante, prepotente persino coi suoi figli , non meno diverso per certi aspetti dal Berlusconi mondano di Loro. Insomma Servillo si rivela ancora una volta adatto a vestire i panni di personalità eccentriche e discutibili, ma c’è qualcosa in questo Scarpetta che ce lo fa amare – nonostante tutto- più degli altri personaggi ed è quella napoletanità che ha nel sangue e in questo film può far sprizzare da tutti i pori. Mentre parla con una cadenza partenopea pronunciata, mentre gesticola anche fuori dal palco, Servillo si sente a casa e si vede!

Scarpetta e Servillo a confronto. Fonte: notizie.it

Un film per tutti?

Bisogna essere amanti di Napoli, del suo teatro, dei suoi colori e della sua storia, della sua musica che suona anche nel dialetto, per apprezzare davvero il film di Martone. Bisogna conoscere una grande commedia come Miseria e nobiltà, i De Filippo e la loro storia paradossale: loro non riconoscuti dal padre – a differenza di quanto avviene nella finzione per il piccolo Peppiniello – diverranno per assurdo i figli più famosi del grande Scarpetta, segnando profondamente teatro e cinema del XX secolo.

Bisogna collegare tutti questi fili della matassa per sentire i brividi sulla pelle quando il piccolo Eduardo indicando il palco a un indisciplinato Peppino dice: «a libertà nostra sta là!». E forse tanti giovani purtroppo non conoscono questi personaggi, la loro storia, sono digiuni di teatro. O forse non serve: magari guardando il film, possono avvicinarsi a questo mondo perchè – ad ogni modo – anche i giovani sanno cos’è la vita e il teatro, in fondo, è la stessa cosa.

Angelica Rocca