Biden propone la sospensione dei brevetti per i vaccini. Duro no dei Big Pharma

Attualità

Gli Stati Uniti hanno proposto la sospensione dei brevetti sui vaccini per accelerarne la produzione. Già dallo scorso ottobre circa 60 paesi hanno presentato la medesima richiesta ma è ovvio che la voce di un gigante come quello americano non può che catalizzare l’attenzione internazionale. L’idea era già stata paventata da Joe Biden nel corso della campagna elettorale che l’ha portato alla Casa Bianca e lo poneva in netto contrasto con l’amministrazione Trump, profondamente contraria. La rappresentante al commercio per gli USA, Katherine Tai, ha invitato giorno 5 maggio i paesi membri della WTO (World Trade Organization) a concordare sulla misura.

fonte: fedaiisf.it

Cos’è il brevetto

Il brevetto di un farmaco è il marchio di esclusiva dell’azienda farmaceutica produttrice. Questi garantisce la produzione e distribuzione esclusiva di un farmaco da parte della casa farmaceutica produttrice ed ha durata di 20 anni. Ovviamente più il prodotto sarà innovativo, utile e soprattutto venduto maggiormente saranno elevati gli introiti. Grazie al brevetto l’azienda potrà avere, per un lasso di tempio medio-lungo, la garanzia di potere rientrare dei costi di ricerca e produzione del medesimo farmaco. Quindi ricavi ingenti ma che servono in primo luogo a ricoprire le notevoli spese sostenute prima dell’immissione in commercio del medesimo farmaco. Alla scadenza del brevetto le altre aziende autorizzate possono iniziare a produrre e commercializzare lo stesso farmaco come “equivalente”.

La proposta di Joe Biden

La sospensione dei brevetti garantirebbe ad altre aziende farmaceutiche, diverse da quelle che hanno sviluppato i vaccini contro il coronavirus, di avviare a loro volta la produzione. Chi è favorevole all’idea sottolinea come ciò consentirebbe di avere molte più dosi a disposizione e a prezzi più contenuti. I contrari sostengono che la sospensione non risolverebbe il problema della scarsità delle dosi, dovuta soprattutto alla mancanza di materie prime e degli adeguati impianti industriali nei quali produrre in sicurezza i vaccini. Il dialogo, già in corso da diversi mesi, ha subito una brusca accelerazione inseguito all’aumento vertiginoso di contagi in alcuni paesi. Per esempio l’India, dove vivono oltre 1 miliardo di persone e si stanno raggiungendo numeri, tra contagi e morti, da capogiro. Permettere anche ai Paesi in via di sviluppo di produrre vaccini per loro stessi, senza dover aspettare interventi assistenzialisti potrebbe accelerare la fine della pandemia.

fonte: LaPresse

La posizione dell’Europa e il freno della Germania

Il dibattito non poteva non prendere piede anche in Europa. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, si è detta interessata a valutare la proposta statunitense, senza mancare di ricordare come la priorità, al momento, sia l’intensificazione della produzione e della condivisione dei vaccini. Sulla medesima linea il premier Mario Draghi e il presidente francese Emmanuel Macron. Entrambi plaudono l’iniziativa di Washington ma concordano che alla liberalizzazione dei brevetti debba seguire un piano per l’esportazione delle dosi prodotte.

 

Dall’Eliseo non è infatti mancata una stoccata verso il Campidoglio. Il governo francese fa notare l’esistenza di una sorta di embargo da parte statunitense verso l’esportazione: “Desidero ricordare che gli Stati Uniti non hanno esportato una singola dose in altri paesi, e ora parlano di sospendere i brevetti”. Gli USA, ad oggi, hanno inviato solamente alcune dosi ma unicamente verso Canada e Messico come da accordi bilaterali con questi ultimi. L’esportazione dei vaccini verso paesi in difficoltà con la pandemia o economicamente meno avanzati potrebbe sortire effetti migliori nel breve periodo rispetto alla liberalizzazione.

Dalla Germania invece arriva un notevole scetticismo sulla prospettiva di sospendere i brevetti. Questo perché, secondo il governo della cancelliera Merkel, tra i fattori che limitano la produzione dei vaccini non vi è la proprietà intellettuale delle case farmaceutiche bensì l’effettiva capacità produttiva in generale e la necessità di farlo con alti standard. Inoltre, si aggiunge, “la protezione della proprietà intellettuale è una fonte di innovazione e deve essere preservata per il futuro”.

L’opposizione delle Big Pharma

Ferma e inamovibile l’opposizione dei giganti dell’industria farmacologica. Il settore farmaceutico è convinto che la sospensione dei brevetti non sia la panacea ed anzi costituirebbe un pericoloso precedente che calpesterebbe i diritti di proprietà intellettuale. I portavoce delle principali aziende coinvolte (BionTech, Moderna etc…) credono che ciò scoraggerebbe l’innovazione e comporterebbe la perdita di numerosi posti di lavoro. A motivazioni di tipo ideologico si accompagnano però anche ragioni tecniche. Un portavoce di Pfizer ha esposto quali sono i passaggi necessari per produrre una fiala con i dovuti requisiti di affidabilità: sono richiesti ben 280 componenti differenti, provenienti da 86 fornitori che hanno sede in 19 Paesi diversi. Costi, forniture e accordi che non si sbloccherebbero unicamente con la liberalizzazione dei brevetti. Oltre alle conoscenze relative ai componenti, la produzione di un vaccino richiede comunque un cospicuo trasferimento di conoscenze ad oggi esclusive degli attuali produttori e frutto di studi e ricerche avvenute nei precedenti anni. Di fatto la sospensione dei brevetti non aiuterebbe comunque quei paesi privi di risorse e capacità adeguate per la produzione. Inutile, infine, trascurare un ultimo ma non meno marginale aspetto: i soldi. Solo nel 2021 si venderanno nel mondo almeno dieci miliardi di dosi di vaccini, che porteranno ai gruppi di Big Pharma tra 120 e 150 miliardi di dollari di ricavi in più.

Filippo Giletto