La nuova normalità post Covid e la distanza che diventa una risorsa

Redazione Attualità
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Quando torneremo alla normalità? È la domanda più gettonata dell’ultimo anno. Ma non solo. È il segno evidente di che cos’è il tempo presente oggi: proiezione nel futuro del ritorno del passato. Eppure, mentre la sogniamo, la normalità ci è già sfuggita di mano. La pandemia, infatti, ha innescato un processo di trasformazioni tanto rapido da necessitare una ridefinizione del concetto di normalità. Scopriamo il velo di Maya: la normalità, così come la conoscevamo, non tornerà mai più. E no, non si tratta dell’osservazione pessimistica di un animo retrivo, piuttosto di un’affermazione di fiducia nella storia e nei suoi eventi: ogni crisi porta con sé non solo distruzione ma anche uno scenario di possibilità.

Studiare in Dad – Fonte: www.noidellascuola.it

Non bisogna andar lontano con il pensiero per rendersi conto che le risorse messe in moto dalla pandemia rappresentano un potenziale per il futuro. Guardiamo a quanto ci è più vicino: il sistema universitario. Le lezioni online si sono rivelate, per molti versi, un beneficio a cui le università postpandemiche non possono più rinunciare, nel nome di un accesso alla cultura più libero e democratico. Si pensi ai vantaggi per gli studenti lavoratori che riuscirebbero più agevolmente a conciliare lavoro e università. Stesso discorso vale per gli studenti genitori. Per non parlare poi di quanti, per frequentare la facoltà che prediligono, sono costretti a cambiare città, il che implica dei costi ai quali non tutti possono far fronte, o degli studenti pendolari che in un giorno di pioggia rinunciano alle lezioni. La didattica a distanza consente di superare barriere e disuguaglianze e di pensare davvero ad un’università che dia a tutti le stesse possibilità.

Nel mondo del lavoro, lo smart working ha spalancato nuovi orizzonti: una gestione più autonoma dei tempi di lavoro e dei tempi di vita, la riduzione dei costi di trasporto casa-lavoro e dello stress causato dagli spostamenti, la possibilità di lavorare in un ambiente familiare e costruito a propria misura. Che lo smart working sia un’innovazione destinata ad occupare il futuro postpandemico, lo conferma un’indagine condotta da Rete del lavoro agile, secondo la quale il 95% degli intervistati vorrebbe mantenere la flessibilità garantita dal lavoro in remoto anche dopo l’emergenza. A tal proposito, nelle ultime settimane, molte imprese, come Unicredit, Bayer, Sanofi, Rina, hanno stipulato accordi con i sindacati per regolamentare l’uso di questo importante strumento nel post coronavirus, puntando l’attenzione soprattutto sul diritto alla disconnessione.

Il diritto alla disconnessione – Fonte: www.lavorosi.it

Anche il settore sanitario, messo alla prova dalla pandemia, si è aperto ad una nuova frontiera: la telemedicina. Un ottimo strumento per rispondere all’esigenza di ridurre l’afflusso in ospedale, soprattutto per proteggere dal contagio soggetti fragili o con malattie croniche, e che nel futuro postpandemico può rappresentare un importante tassello di un sistema medico più inclusivo e presente nel territorio. La telemedicina faciliterebbe l’accesso alle cure mediche a quanti vivono in zone remote o non dotate di adeguate strutture sanitarie; permetterebbe ad anziani o malati cronici di curarsi direttamente da casa; renderebbe più agevole al paziente il consulto medico; garantirebbe interventi repentini e personalizzati.

Un esempio di telemedicina – Fonte: www.saluteatutti.it

Lo smart working, la didattica a distanza e la telemedicina si collocano in uno scenario più ampio: la digitalizzazione. Questo processo, accelerato fortemente dalla pandemia, si dimostra oggi più che mai, contro ogni forma di resistenza, inesorabile e onnipervasivo. In tal senso, il Corona virus rappresenta un punto di non ritorno: se prima le vecchie generazioni guardavano nostalgicamente al passato, oggi anch’ esse si sono rese conto dell’effettivo potenziale insito nel mondo virtuale. La stessa politica si sta ritrovando a fronteggiare una sfida lanciata proprio dalla digitalizzazione: la disuguaglianza digitale. Basta pensare al Recovery fund e al fatto che prevede l’erogazione di 40 miliardi in favore dell’educazione digitale, per comprendere che esiste una nuova consapevolezza: senza un’equa distribuzione degli strumenti digitali, quella per la democratizzazione della cultura, del lavoro e della salute rischia di essere una battaglia persa.

Da una parte l’evoluzione del digitale, dall’altra il progresso della scienza: la pandemia, come fenomeno sociale, non può essere letta se non a partire dal binomio scienza-tecnologia. Le trasformazioni evolutive che hanno investito la scienza riguardano, in modo particolare, due campi. Il primo è quello della ricerca sui vaccini: la tecnica dell’Rna messaggero, usata dai vaccini Pzifer-Biontech e Moderna, verrà utilizzata per sperimentare nuovi vaccini, come quello contro il citomegalovirus e l’HIV. Lo ha confermato Noubarn Afeyan, presidente di Moderna: “Penso che questa tecnologia resterà protagonista anche in futuro”. Il secondo campo è quello del rapporto con le istituzioni: la pandemia ha sancito l’inizio di un fecondo dialogo tra scienza e politica e, di conseguenza, tra scienza e opinione pubblica; un dialogo che deve essere coltivato per costruire società più informate, consapevoli e mai più impreparate ad affrontare crisi di questo tipo.

Immaginare il futuro post Covid alla luce di risorse e possibilità rappresenta il tentativo di ripensare la pandemia come un momento storico epocale, un evento pregnante di schemi interpretativi nuovi per comprendere le trasformazioni del presente e quelle del futuro, nell’ottica di una realtà che si evolve nel lasso di tempo che intercorre tra la rottura di equilibri vecchi e l’affermazione di equilibri nuovi.

Chiara Vita

Articolo pubblicato l’ 8 aprile 2021 sull’inserto NoiMagazine di Gazzetta del Sud