Webinar “ Il circo mediatico-giudiziario: dalla carta stampata ai social network”. L’incontro e l’analisi

Attualità

Si è svolto ieri, martedì 30 marzo, il primo incontro del ciclo di seminari interdisciplinari sulla “Giustizia e l’opinione pubblica” organizzati dall’Ordine degli Avvocati di Messina. L’argomento trattato dai relatori in questa sede è stato “il circo mediatico-giudiziario: dalla carta stampata ai social network”.  Dopo un indirizzo di saluti da parte del prof. Francesco Astone e dall’avv. Maria Isabella Celeste, vice-presidente dell’Ordine degli Avvocati di Messina, hanno moderato il prof. ordinario di filosofia del diritto Alessio Lo Giudice, il prof. ordinario di diritto processuale penale Stefano Ruggeri, il prof.associato di diritto processuale civile Marco Gradi e il Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Messina prof. Antonio Cappuccio. Hanno partecipato in qualità di relatori la dott.ssa Elvira Terranova, giornalista di Adkronos, l’avv. Vincenzo Ciraolo, segretario dell’Organismo Congressuale Forense, il prof.ordinario di procedura penale dell’Università di Pisa Enrico Marzaduri e il dottor Francesco Verderami, giornalista del Corriere della Sera. La caratura degli ospiti e la qualità della moderazione hanno garantito un ricco dibattito su temi quanto mai attuali.

Il titolo dell’incontro prende il nome dal libro di Daniel Soulez Larivière “Il circo mediatico-giudiziario” in cui si affronta un tema cruciale per una società che pretende di dirsi civile: il delicato rapporto tra giustizia e comunicazione e le pericolose conseguenze di una malsana sinergia tra questi due mondi.

 

La presunzione di non colpevolezza, principio cardine del nostro ordinamento

Punto di partenza è il principio di non colpevolezza– o di innocenza-, corollario dell’equo processo e sancito sia a livello nazionale all’art 27 c2. della Costituzione, sia a livello internazionale (CEDU, PIDCP, Dic. Universale dei diritti dell’uomo), il quale presuppone che il soggetto accusato/sospetto (quindi anche ad un livello processualmente potenziale) sia innocente fino a prova a contraria (per la precisione: divieto di considerare colpevole fino a condanna definitiva)

Il tema è stato trattato in primis dal professore Stefano Ruggeri, il quale ha enfatizzato come un’eccessiva mole di notizie giornalistiche a sfavore del soggetto non possano far altro che compromettere tale posizione, rendendolo di fatto un presunto reo (colpevole) fino a prova contraria. In quanto, continua il professore, la fonte giornalistica riporta esclusivamente la voce dell’accusa, ledendo altresì il diritto al contradditorio. Diritto che prevede che siano ascoltate in pari modo sia le tesi dell’accusa, sia quelle della difesa e la cui lesione porterebbe quasi ad una “sentenza senza processo”.

Ad ampliare il discorso, e le preoccupazioni a tal proposito, il professore Marzaduri sostiene oltretutto che il diritto di cronaca non solo lede la posizione processuale del soggetto, ma anche quella sostanziale, in quanto esso non collima, anzi danneggia, diritti fondamentali quali privacy, reputazione e, soprattutto, dignità della persona.

Oltretutto vi possono essere danni cagionati alla reputazione ed alla riservatezza di soggetti coinvolti nel processo mediatico che potrebbero poi non essere parti nel processo effettivo.

Marzaduri ha poi richiamato il pensiero di altri giornalisti, proponendo come soluzione la possibilità di ampliare le fonti d’informazione, garantendo quasi un canale privilegiato per determinati processi che non inficino la posizione del soggetto parte.

Ruggeri, tuttavia risulta maggiormente pessimista, citando Carnelutti: “L’art. della costituzione che s’illude di garantire l’incolumità dell’imputato è inconciliabile con quell’altro che sancisce la libertà di stampa“.

 

L’indipendenza del giudice e la presunzione di imparzialità

Nel corso dei loro interventi i relatori hanno, chi più chi meno, inevitabilmente toccato un ulteriore snodo cruciale attinente al rapporto tra la giustizia e la comunicazione ed avente ad oggetto la posizione del giudice. Nel momento in cui maggiori dettagli attinenti a cose o fatti inerenti un processo diventano di dominio pubblico, i modi e le narrazioni degli stessi portano nella maggior parte dei casi a una polarizzazione dell’opinione pubblica. Opinione pubblica che, specialmente ove vi siano temi o dettagli che toccano le corde più sensibili finisce inevitabilmente per influenzare, o come detto dall’avvocato Ciraolo, porre una pressione esterna sul magistrato. Quest’ultimo, per quanto professionale possa essere, è comunque un essere umano calato all’interno di una società che spesso disconosce i principi cardine del nostro ordinamento. Ci si può accontentare di una apparente imparzialità del giudice o è necessario un passo indietro? Esempio emblematico portato dallo stesso Avvocato Ciraolo è di come prima di del periodo denominato Tangentopoli le notizie riportate sulla carta stampa si riferivano unicamente, per es. “all’Ufficio di Milano” o “alla Procura” senza riportare nome e cognome del magistrato incaricato.

 

I social media, habitat naturale delle fake news

Un’ultima problematica messa in luce ed affrontata durante il dibattito è stata quella delle fake news e del loro impatto sull’opinione pubblica. “L’unica soluzione sarebbe l’intervento legislativo, ma per fare ciò il potere politico dovrebbe avere lo stesso peso specifico della magistratura, peso specifico che non ha”, ha affermato il dott. Verderami, con riferimento ad un possibile intervento legislativo che miri a sopprimere l’ondata delle fake news. E si vanno a ricercare, o almeno a chiedersi se sussistano, responsabilità deontologiche tra i vari organi del potere: anche di quello legislativo.

Bisogna tenere la barra dritta tra il potere mediatico e giudiziario”, interviene la dott.ssa Terranova, rimarcando l’importanza del contenimento della disinformazione soprattutto nell’ambito del processo penale. E così il problema delle fake news finisce per incastrarsi perfettamente con quella cassa di risonanza che sono i social media, quell’ “arena virtuale” dove le notizie vengono – spesso semplicisticamente – filtrate e poi condensate all’interno di sentenze mediatiche popolari.

Il prof. Marco Gradi, in conclusione dell’incontro, ha però voluto sottolineare la realtà frammentaria dell’opinione pubblica e l’impossibilità di raggiungere quell’unanimità che faccia da garanzia della sentenza resa dalla stessa opinione pubblica. D’altro canto, dei rimedi si rendono necessari, ed è qui che entra in gioco la riflessione del prof. Gradi: “Concedere un canale privilegiato al processo, ma pensare anche ai rimedi individuali che il singolo può proporre”.

 

Manuel De Vita

Valeria Bonaccorso

Filippo Giletto