Dieci anni di guerra in Siria. Lo scoppio il 15 marzo del 2011

Attualità
Cittadini siriani stremati dalla guerra (fonte: il Post)

Siria, 15 marzo 2011: scoppia una protesta a Daraa, nel sud, contro il presidente Bashar al-Assad. Il mese prima, alcuni studenti erano stati arrestati con l’accusa di avere fatto graffiti con slogan anti-regime e perciò torturati. Da quell’evento, la guerra non è ancora finita. Oggi, sono 10 anni.

 

Primavera Araba: dalla Tunisia, l’inizio di tutto

Ciò che successe in Siria si calava dentro un contesto più allargato di malcontento. Molti Paesi dell’area araba e nordafricana, tra la fine del 2010 e il 2011 sono stati protagonisti della cosiddetta Primavera Araba. Questa, l’espressione giornalistica inventata per definire un fenomeno di proporzioni gigantesche: una serie di sommosse che hanno portato alla deposizione di primi ministri, allontanamento o morte di capi di Stato, cambiamenti di governi, ma anche a vere e proprie rivoluzioni e guerre civili, come, appunto, in Siria.

Tutto ebbe inizio il 17 dicembre 2010, in Tunisia: Mohamed Bouazizi, si diede fuoco in seguito a maltrattamenti subiti da parte della polizia. Il gesto innescò la cosiddetta Rivoluzione dei Gelsomini e un effetto domino in tutta l’area nordafricana.

La Siria entra a far parte di questo effetto domino della Primavera Araba con la protesta di Daraa.

Una legge del 1963 – anno in cui per la Siria iniziò uno stato di emergenza – che impediva le manifestazioni, le riunioni pubbliche con oltre cinque persone. Perciò, a Daara, il regime procedette a sopprimere, anche ricorrendo alla violenza, tutte le iniziative sostanzialmente pacifiche. L’obiettivo del popolo siriano era spingere il presidente siriano ad attuare le riforme necessarie a dare un’impronta democratica allo Stato. Solo dopo molti scontri e solo formalmente il divieto venne revocato. Intanto, un numero imprecisato di persone vennero uccise e si generò una vera e propria guerra civile.

Attualmente, circa 13 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria, migliaia sono state uccise o ferite e centinaia di migliaia costrette a lasciare le loro case. Quasi 12 milioni di siriani, metà della popolazione prebellica, sono sfollati all’interno o fuori dai confini della Siria. Circa 5,6 milioni sono i rifugiati, sparsi in tutto il mondo, la maggioranza in Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto. Più di 6 milioni di persone – il numero più alto del mondo – sono sfollate internamente al Paese, costrette in condizioni precarie.

 

Gli antefatti

Già nel 2000, con la primavera di Damasco, qualcosa si era mosso: molti i dibattiti che si accesero insieme a una forte speranza per un dirottamento verso la democrazia. Il primo passo era eliminare la struttura istituzionale monopartitica del Partito Ba’th.

(fonte: larepubblica.it)

Durante il periodo di pace del governo di Bashar al-Assad, secondo un rapporto dell’Human Rights Watch pubblicato poco prima dell’inizio della rivolta del 2011, non sarebbero avvenuti sostanziali miglioramenti dei diritti umani nel Paese. Le forze di sicurezza facevano abuso di potere.

Il presidente Bashar al-Assad (fonte: ilfaroonline.it)

Si inasprì una disuguaglianza socioeconomica tra i cittadini: Hafiz al-Asad avviò politiche di libero mercato nei suoi ultimi anni di governo, proseguite anche da Bashar al-Assad, una volta salito al potere. Ciò ha favorito una minoranza della popolazione della nazione, principalmente persone che avevano legami con il governo e membri della classe mercantile sunnita di Damasco e Aleppo.

Dal 2006 al 2011 si aggiunse la diffusione di una carestia, causa della diminuzione della produzione agricola, un conseguente aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e una migrazione di massa delle famiglie di agricoltori verso i centri urbani.

 

Le fasi iniziali della guerra e la reazione delle Nazioni Unite

Il clima si fece tesissimo dopo l’arresto e la tortura di quel gruppo di giovani, in quarant’anni al potere, la famiglia Assad non aveva mai ricevuto un’opposizione così aperta dal popolo. Così, iniziò un’escalation di eventi sempre più gravi. Le manifestazioni vennero represse nel sangue. Nella protesta della popolazione poi si infiltrarono diverse fazioni anche gruppi che iniziarono a ricorrere alle armi, tra cui iniziò a spiccare una componente estremista.

Il fronte governativo trovò il sostegno da combattenti sciiti provenienti da altri Paesi, fra cui l’Iraq e l’Afghanistan. Il fronte dei ribelli, invece, ricevette supporto dalla Turchia e soprattutto dai Paesi sunniti del Golfo, in particolare Arabia Saudita e Qatar, che estesero il loro supporto anche a gruppi islamisti più radicali. Questi, infatti, videro sin da subito l’occasione di contrastare, in Medio Oriente, la componente sciita, minoritaria tra la popolazione siriana, ma a cui appartengono organi dirigenti del Partito Ba’th e lo stesso presidente, parte della comunità religiosa alawita (branca dello sciismo).

Nella seconda metà del 2011, si formano sempre più gruppi di opposizione armata e iniziano le defezioni di numerosi soldati regolari siriani che si uniscono ai ribelli, raggruppandosi nell’Esercito siriano libero (Esl).

(fonte: eastjournal.net)

La guerra civile prende sempre più forma. Repressioni e bombardamenti da parte delle forze governative si moltiplicano e, all’inizio del 2012, i combattimenti raggiungono la capitale Damasco oltre che la seconda città maggiore del Paese, Aleppo.

Nel settembre 2013, avviene un attacco chimico nell’area ribelle di Ghūṭa. Il governo è il principale sospettato. A causa della posizione strategica della Siria, dei suoi legami internazionali, la crisi ha coinvolto i Paesi confinanti, divenendo dopo questo episodio internazionale.

All’interno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, si crea una spaccatura pericolosa: Cina e Russia, dalla parte del governo siriano, sia in ambito diplomatico che militare, mentre Stati Uniti, Francia e Regno Unito minacciano di intervenire militarmente contro il governo, sostenendo i ribelli. Prima che il conflitto potesse raggiungere dimensioni anche mondiali, grazie a un massiccio lavoro diplomatico, si raggiunge un accordo: si viera la possibilità di intervento armato dell’Occidente, ma in cambio si procede con la distruzione dell’arsenale chimico siriano il 27 settembre – la cosiddetta Risoluzione 2118 – il libero accesso ai depositi di armi chimiche da parte dei funzionari Onu e l’adesione del governo siriano alla Convenzione sulle armi chimiche.

 

L’Isis

Intanto, le forze fondamentaliste sunnite aumentavano e diventavano sempre più influenti. Si apre il conflitto tra queste e l’Esl. I gruppi armati jihadisti che insorsero erano inizialmente raggruppati nel Fronte al-Nusra – affiliato di Al Qaida, in Siria – che ottiene grandi successi nel Governatorato di Idlib. Da questo, nel 2013, si distaccano diverse unità che insieme formano l’Isis, da lì a poco, gruppo terroristico che poi sentiremo spesso nominare nelle cronache di tutto il mondo.

Nell’agosto del 2014, l’Isis annuncia la nascita del califfato nella vastissima area da esso controllato, a ridosso della frontiera tra Iraq e Siria. Sfruttò a suo favore il malcontento della minoranza sunnita irachena, lanciando una massiccia offensiva in Iraq nel giugno precedente.

Il 20 maggio del 2015 i jihadisti conquistano la città di Palmira, nella Siria centrale, città patrimonio dell’Unesco, attuando una vendetta nei confronti di tutto il mondo, distruggendo i beni archeologici e insieme una gran parte della nostra. Il 2 marzo 2017 il regime siriano, con l’aiuto di raid aerei sferrati dai caccia russi, riconquista Palmira, che viene messa in sicurezza.

 

A dieci anni di guerra, le reazioni dal mondo

Asma al Assad (fonte: huffingtonpost.it)

L’Inghilterra potrebbe revocare la cittadinanza alla moglie del presidente siriano. Figlia di genitori siriani, Asma al Assad, oggi 45enne, è nata e cresciuta a Londra dove ha lavorato come manager nel settore della finanza dopo la laurea ottenuta al King’s College di Londra. Si è trasferita in Siria soltanto nel 2000 dopo il matrimonio con Bashar al-Assad. La polizia metropolitana di Londra ha aperto un’indagine per crimini di guerra nei suoi confronti. L’accusa è quella di aver incoraggiato il terrorismo in Siria con i suoi discorsi a sostegno delle forze armate siriane. Se sarà incriminata, la polizia potrà richiederne l’estradizione, ma è improbabile che Asma al Assad

possa mai davvero apparire davanti a un tribunale nel Regno Unito, visto che il marito, benché sia sempre più isolato a livello internazionale, con l’eccezione della Russia e dell’Iran – suoi storici sostenitori – è ancora il presidente.

 

Da San Pietro, invece, ieri dopo l’Angelus, Papa Francesco ha lanciato un appello alla comunità internazionale, a causa del decimo anno di guerra. Ha chiesto un forte impegno, affinché tutto il mondo possa cooperare per la fine di questa guerra dalle proporzioni smisurate. Per Francesco bisogna al più presto “deporre le armi per poter avviare la ricostruzione e la ripresa economica”, per “porre fine a una delle più grandi catastrofi umanitarie del nostro tempo che ha causato un numero imprecisato di morti e feriti, milioni di profughi, migliaia di scomparse, distruzioni, violenze di ogni genere, immani sofferenze per tutta la popolazione.

Donna siriana – una foto vincitrice del Worl Press Photo del 2013 (fonte: il Post)

Ha ricordato che a pagare le conseguenze più gravi siano donne, anziani, ma soprattutto i bambini, i cui volti impauriti dovrebbero risvegliare ancor di più le coscienze da tutto il mondo.

(fonte: account twitter Uniceff)

 

 

Rita Bonaccurso