È importante ricordare anche se fa male: il Giorno del Ricordo per le vittime delle foibe

Redazione Attualità
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Oggi, 10 febbraio, noi italiani, ricordiamo una delle più tristi pagine della nostra storia. Da sette anni, su decisione del Parlamento, si celebra il Giorno del ricordo, per la commemorazione di migliaia di vittime, che tra il 1943 e il 1947 vennero catturate, uccise e gettate nelle cavità dell’Istria e della Dalmazia: le foibe.

Su internet, digitando la parola “foiba”, si legge “depressione carsica a forma di grande conca chiusa, derivata dalla fusione di più doline, sul fondo della quale si apre una spaccatura che assorbe le acque”. Insomma un elemento paesaggistico, come una collina, un dosso, una caverna, nulla che faccia riferimento a tutto quello che significa per un italiano: una delle più complesse e dolorose vicende della nostra storia, per molto tempo, tra l’altro, dimenticata.

(fonte: SlideShare)

La storia dietro la memoria

Istriani, fiumani e dalmati, nel tragico secondo dopoguerra, furono costretti a lasciare le loro terre per proteggersi dai partigiani jugoslavi di Tito, responsabili di quella che fu un’altra “pulizia etnica”.

È il 1943. Un periodo buissimo per l’Italia: dopo tre anni di guerra il regime fascista di Mussolini aveva decretato il proprio fallimento, con il seguente scioglimento del Partito fascista, la resa dell’8 settembre e lo sfaldamento delle nostre Forze Armate.

Nel frattempo, nei Balcani, in particolare in Croazia e Slovenia – due regioni confinanti con l’Italia – avevano avuto il sopravvento le forze politiche comuniste, guidate da Josip Broz, con nome di battaglia Tito.

Queste si vendicarono dei fascisti e della italianizzazione forzata a lungo imposta nei territori italiani fino a Trieste, che decisero di riconquistare.

Considerarono nemici non solo i fascisti, ma anche tutti gli italiani non comunisti, torturandoli e gettandoli nelle foibe.

Questa atroce vendetta finì per colpire anche italiani innocenti.

Fino alla fine dell’aprile del 1945, i partigiani jugoslavi erano stati tenuti a freno dai tedeschi, ma con il crollo del Terzo Reich niente poteva più fermarli.

L’esercito jugoslavo arrivò ad occupare l’Istria – fino ad allora territorio italiano, e dal ’43 della Repubblica Sociale Italiana – e puntò verso Trieste. Tutti territori che fino alla prima guerra mondiale erano stati negati alla Jugoslavia.

Non aveva, però, tenuto conto delle truppe alleate che avanzavano dal Sud della nostra penisola: la prima formazione alleata per la liberazione di Venezia e poi Trieste fu la Divisione Neozelandese del generale Freyberg, l’eroe della battaglia di Cassino.

Gli jugoslavi riuscirono intanto a impadronirsi di Fiume e di tutta l’Istria interna, compiendo feroci esecuzioni contro gli italiani. Non riuscirono, però, ad assicurarsi la “preda più ambita”: la città, il porto e le fabbriche di Trieste.

(fonte: Internazionale)

Alla fine del ’46 la questione italo-jugoslava era divenuta per molti un peso che intralciava la soluzione di questioni più importanti: gli Alleati volevano trovare una soluzione per Vienna e Berlino, l’Unione Sovietica doveva sistemare la divisione della Germania, l’Italia era alle prese con la gestione della transizione tra monarchia e repubblica.

Bisognava stabilire il confine esatto tra Italia e Jugoslavia. La questione si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Si seguii la proposta francese: l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia.

Inoltre, si concesse alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, con l’accordo che sarebbero poi stati indennizzati dal governo di Roma.

Dentro la foiba

Tra il maggio e il giugno del 1945, migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra. Altri furono uccisi dai partigiani di Tito, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati.

Secondo alcune fonti, le vittime di quei pochi mesi furono tra le quattromila e le seimila, per altre diecimila.

Si uccideva con estrema crudeltà: i condannati venivano legati tra loro con un fil di ferro stretto ai polsi e fucilati in modo che si trascinassero nelle cavità, gli uni con gli altri.

(fonte: CLN)

Sembra impossibile, che una simile tragedia sia rimasta nell’oblio per quasi sessant’anni, tra quel quadriennio del ’43-’47 e il 2004, quando il Parlamento approvò la legge Menia – dal nome del deputato triestino Roberto Menia, che l’aveva proposta – sull’istituzione delGiorno del Ricordo”.

La risposta andrebbe cercata in una sorta di tacita complicità tra le forze politiche centriste e cattoliche, da una parte, e quelle di estrema sinistra, dall’altra. Solo dopo il 1989, con il crollo del muro di Berlino e l’autoestinzione del comunismo sovietico, nell’impenetrabile diga del silenzio incominciò ad aprirsi qualche crepa.

Il 3 novembre 1991, l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga si recò in pellegrinaggio alla foiba di Basovizza e, in ginocchio, chiese perdono per un silenzio durato cinquant’anni.

Le parole di Mattarella

“Il silenzio, le sacche di deprecabile negazionismo militante e il riduzionismo, sono gli ostacoli contro cui ancora si combatte per questa sciagura nazionale”.

Lo scrive il presidente Mattarella, in occasione dell’odierna Giornata, il quale aggiunge che il vero avversario da battere, “più forte e più insidioso”, è quellodell’indifferenza, del disinteresse, della noncuranza, che si nutrono spesso della mancata conoscenza della storia e dei suoi eventi”.

Il capo di Stato sottolinea anche che angosce e sofferenze sono un monito perenne “contro le ideologie e i regimi totalitari che negano i diritti fondamentali della persona e rafforzano ciascuno nei propositi di difesa e promozione di pace e giustizia”.

(fonte: Telefriuli)

Le iniziative in tutta Italia per ricordare

Diverse le iniziative – vista la drammatica situazione sanitaria, quasi tutte online – per celebrare il Giorno del Ricordo.

Domani, in rappresentanza della Regione Emilia-Romagna, l’assessore regionale Mauro Felicori parteciperà alla cerimonia di commemorazione che si svolgerà a Bologna, alle ore 15.30, al cippo nel Giardino Martiri dell’Istria Venezia Giulia e Dalmazia, dove sarà deposta una corona in onore delle vittime.

Il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, afferma:

“Una tragedia a lungo dimenticata. Che abbiamo il dovere di ricordare, con obiettività, per preservare la verità storica del nostro passato. Un dramma che costò la vita a tanti innocenti e causò l’esilio di tanti italiani, persone e famiglie intere, che furono costretti a fuggire dalle loro terre e dalle proprie case”.

Pensiero condiviso anche da Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste che chiede di non dimenticare: “se si costruisce un mondo su odio e violenza non si va da nessuna parte“. Discorso che ruota intorno alle parole “riconciliazione” e “purificazione della memoria”, l’attività della Chiesa di quegli anni e di oggi.

Nel frattempo, si è sollevata la polemica per un simpatizzante neofascista chiamato lunedì 8 febbraio in Palazzo Vecchio di Firenze, per la commemorazione della tragedia delle foibe. Subito è scoppiata una rivolta a sinistra e anche nell’Anpi, l’associazione dei partigiani:

“Così facendo il Consiglio comunale si è piegato alla deriva che vede le foibe, l’esodo giuliano dalmata e tutte le terribili vicende storiche dei confini orientali un mero esercizio di contrapposizione politica, perdendo il senso e il significato storico complesso e articolato che hanno quelle vicende”.

Gallarate, invece, celebra con un brano musicale che racconta un pezzo della storia dell’Istria, territorio conteso e poi perso dall’Italia, annesso alla Jugoslavia e oggi parte della Croazia.

L’Amministrazione comunale di Arcisate propone la rappresentazione del libro “Perché la notte” di Lorella Rotondi, con le illustrazioni di Daria Palotti e la lettura di Anna Paola Montanari.

L’Italia non si ferma, non può fermarsi, perché solo così può mantenere vivo il ricordo; come dice un brano di Raige e Annalisa: “per non dimenticare mai”.

Manuel De Vita