Recovery Fund, le novità delle ultime settimane. Il sindaco De Luca diffida il governo: pochi fondi per il Sud

Redazione Attualità
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Il Recovery Fund, il “fondo di recupero” formulato per il rilancio delle economie schiacciate dalla pandemia, ha dovuto e sta affrontando durante l’iter per la sua approvazione numerose sfide. I 27 Stati membri dell’Unione europea si sono spesso scontrati, nonostante la prima parte del 2020 si fosse chiusa con una flessione del Pil per molti di essi. Ancora molti sono i punti di rottura che si creano al riguardo. In questi giorni, si parla di equa divisione dei fondi europei all’interno dell’Italia, per evitare che ancora una volta il Sud si ritrovi svantaggiato.

(fonte: money.it)

Cos’è il Recovery Fund e perché se ne discute tanto

Inizialmente, la discussione si è aperta tra i rigidi Paesi del Nord, restii a ogni forma di debito pubblico condiviso perché meno colpiti dalla pandemia, e quelli del Sud, più penalizzati, come l’Italia.

Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) ed eurobond sono gli altri due punti su cui ci si è molto confrontati.

In un secondo momento, la strada ha iniziato ad esser spianata da Francia e Germania, le quali hanno avanzato una prima proposta basata esclusivamente su concessioni di denaro a fondo perduto. Poi sono subito arrivati un progetto di Olanda, Austria, Danimarca e Svezia, e uno della Commissione europea, nel quale sono stati inseriti sia finanziamenti che concessioni a fondo perduto.

In estate ha visto la luce anche la proposta di Charles Michel, a una settimana dal summit del 17-18 luglio. Il presidente del Consiglio europeo, presentò una nuova bozza negoziale, nel tentativo di trovare un compromesso. Il testo prevedeva un sottile bilanciamento tra gli interessi nazionali, una riduzione del bilancio – da 1100 miliardi a 1074 miliardi di euro – e un nuovo meccanismo di controllo sull’uso del denaro europeo a livello nazionale.

Successivamente, si è verificato un braccio di ferro con Polonia e Ungheria, contrarie alla condizione del rispetto dello Stato di diritto e i basilari principi di democrazia, imposto a tutti i Paesi beneficiari. Per superare lo stallo, l’Ue ha assicurato l’impegno ad elaborare linee guida chiare sulla sua interpretazione e la possibilità di invocare la Corte di Giustizia Europea sulla sua validità, arrivando al compromesso nel Consiglio del 10 dicembre.

750 miliardi di euro: 390 miliardi di sovvenzioni, 360 miliardi di prestiti.

Questi i soldi stanziati, che verranno reperiti tramite il meccanismo dell’emissione di debito garantito dall’Ue, in questo primo trimestre del 2021.

Il nuovo capitolo che ora si apre, vede protagonisti i singoli Stati, a cui spetta elaborare dettagliati piani di spesa nazionali. In soldoni, verrà deciso come verranno spesi questi fondi europei.

 

L’utilizzo dei fondi europei in Italia accende i primi scontri

L’Italia sta definendo il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) , nel quale le risorse sono suddivise per diversi ambiti di destinazione, che deve esser finito e presentato a Bruxelles entro aprile.

In questi giorni, è stata sollevata una polemica al riguardo, proprio dal “non-più-dimissionario” sindaco di Messina, Cateno De Luca.

L’1 febbraio, convoca una conferenza stampa, presso il Salone delle Bandiere del Palazzo Zanca, per annunciare l’intenzione di diffidare il governo nazionale e la Regione Sicilia, proprio a causa del Recovery Fund.

De Luca, Previti e Puccio durante la conferenza (fonte: qds.it)

Analizzando i dati, per il sindaco, il Mezzogiorno, sarebbe stato ancora una volta beffeggiato. Nello specifico, i 209 miliardi del Recovery destinati all’Italia, non sarebbero stati divisi seguendo i tre parametri suggeriti dall’Europa, Pil pro capite, tasso medio di disoccupazione e popolazione. Il governo avrebbe sfruttato solo l’ultimo dei criteri; così, solo il 34% dei fondi – dunque 71 miliardi – sarebbero stati assegnati al Sud e il restante 66% alle regioni dal Lazio in su.

“Se si tiene conto dei tre indicatori che l’Europa ha stabilito, la percentuale arriva al 75% e quindi alle città metropolitana da Roma in giù spetterebbero 156 miliardi. Ma il governo ha ignorato il diktat tenendo di conto di fatto solo del fattore popolazione” ha detto De Luca, sostenendo che, in realtà, la maggior parte dei fondi destinati al nostro Paese, dovrebbero andare al Sud.

Affiancato dal vicesindaco e assessore ai Fondi europei Carlotta Previti e dal dirigente tecnico della città metropolitana di Messina, Salvo Puccio, ha segnalato ulteriori anomalie: molte opere per il Sud, introdotte nel piano che l’Italia ha redatto per l’utilizzo dei fondi, risultano esser già finanziate, come, ad esempio, la nuova linea ferroviaria Messina-Catania-Palermo. Perciò, esigono che le risorse nazionali siano aggiuntive e non sostitutive rispetto a quelle messe a disposizione con il Recovery, rispettando il “principio di addizionalità” previsto dalla Commissione Europea nelle linee guida.

“Il Sud esce penalizzato da queste scelte. E’ un furto bello e buono!” ha dichiarato De Luca.

Il sindaco pensa anche a una diffida collettiva, suggerendo ai sindaci delle sei regioni meridionali – Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania e Sardegna – di mettere la popolazione a conoscenza della questione affinché possa protestare per una maggiore attenzione.

Una diffida collettiva dalle regioni meridionali per spingere l’Ue a intervenire.

Pesanti le dichiarazioni di De Luca anche contro la Regione che non sembra averlo coinvolto nell’aspetto decisionale della formulazione delle proposte per la Sicilia.

Il sindaco, infatti, ha individuato progetti per Messina e provincia, quantificabili in 632 milioni di euro. Tra questi compare anche il famoso ponte sullo Stretto, mai realizzato. Nove schede progetto, tra cui anche il risanamento delle baracche, misure per la transizione green e quella digitale. Sono stati indicati tutti i dettagli per la realizzazione, compreso un preciso cronoprogramma.

Il sindaco è stato aspramente criticato per questa mossa da Sicilia Futura, che lo accusa di star facendo solo propaganda politica e non il bene della città, nonostante l’essenza stessa del Recovery sia quella anche di misura politica, per evitare che vi siano troppe diseguaglianze nell’Europa post-covid.

Dunque, due diffide: una al governo nazionale sicché apporti tutte le modifiche segnalate, con un aumento della quota di risorse per il Mezzogiorno fino al 75%, e una al governo regionale perché apporti tutte le modifiche da lui indicate nel suo Atto di Diffida, avviando, inoltre, la concertazione di tutti soggetti istituzionali, locali, interregionali e nazionali per la definizione delle linee di intervento, ma soprattutto la condivisione, per lui mancata, di queste.

Sulla scrivania di Draghi anche la bozza del Recovery

Draghi, neo premier incaricato da Mattarella (fonte: lagazzettadelsud.it)

L’avvento di Draghi premier cambierà lo sviluppo del Piano che l’Italia dovrà presentare obbligatoriamente entro aprile a Bruxelles. Ormai conosciamo bene il concetto di debito buono, portato avanti dal neo premier incaricato. L’intento è quello di pensare a interventi che possano giovare a lungo termine, senza lasciarsi tranquillizzare troppo dalla liquidità istantanea che si riuscirà a portare in Europa. Il rischio, infatti, è quello di investire male e finire per ritrovarsi con un debito ancora più grande in futuro. Non solo, dunque, tamponare le emergenze attuali, ma creare nuove reali opportunità per l’Italia.

Draghi non mancherà di definire ogni punto con estrema precisione. Da Bruxelles, infatti, avevano fatto sapere che la bozza italiana mancava di alcune precisazioni significative su obiettivi, entità di spesa, impatto sul PIL. Il capitolo di spesa relativo alla scuola della bozza potrebbe essere modificato, anche quello su pubblica amministrazione, piuttosto “nebuloso” e quello sulle infrastrutture, tema, molto caro anche a tutti i partiti.

(fonte: open.online.it)

Oltre giovani e lotta alla disuguaglianza sociale, parità di genere – soprattutto riguardo l’aspetto occupazionale – istruzione e ricerca sono punti fondamentali per l’ex banchiere. Si vocifera anche dell’istituzione di una task force ad hoc e persino di un ministro per l’amministrazione dei fondi, ma, comunque certa è la supervisione di Draghi e sicuro che con lui il Recovery Fund cambierà e anche velocemente.

 

Rita Bonaccurso