Russia, processo Navalny: tre anni e mezzo per il più grande oppositore di Putin

Redazione Attualità
REDAZIONE ATTUALITÀ
Attualità
#Navalny #Putin russia

Si è concluso martedì intorno alle 18:30 il processo nei confronti di Alexei Navalny, il più noto oppositore del presidente russo Vladimir Putin, che lo scorso agosto era stato avvelenato con un agente nervino ed è rientrato recentemente in Russia, dove è stato immediatamente arrestato dalle autorità locali. L’esito della sentenza è di tre anni e mezzo di carcere con l’accusa di avere violato la libertà vigilata decisa a seguito di una precedente condanna.

Secondo alcune fonti giornalistiche l’avvelenamento sarebbe stato ordinato dai servizi di sicurezza russi; Max Seddon, giornalista esperto, ha parlato di “giorno storico” per il paese, con conseguenze rilevanti su tutto il fronte politico interno ed esterno russo del prossimo futuro.

Chi è Alexei Navalny

(fonte: Ispi)

Alexey Navalny è un avvocato 44enne, attivista contro la corruzione ed è probabilmente il russo più famoso al mondo oggi dopo Vladimir Putin. I due, infatti, nel corso di questi anni sono stati i vertici dei due massimi schieramenti politici: “o con l’uno o con l’altro”.

Navalny si è guadagnato questa posizione con l’attivismo, la tenacia e il sangue freddo davanti al rischio costante di morire ma anche grazie a una dose notevole di trasformismo.

È il lontano 1999 quando Navalny entra a far parte del piccolo partito Yabloko: in una Russia che usciva da un decennio disastroso il piccolo partito offriva una piattaforma liberale di attivismo politico.

La Russia di quegli anni si trova davanti a un bivio: mantenere l’eredità geopolitica dell’Unione Sovietica, salvando la struttura dell’impero (ex URSS) multietnico e multireligioso, oppure concentrarsi sul miglioramento della parte più etnicamente russa.

Mentre Putin era un forte sostenitore della prima ipotesi, Alexei Navalny si avvicinava sempre di più alle idee del nazionalismo russo, dando vita ad una vera sfida geopolitica.

Il passato nazionalista di Navalny è scandito da diversi episodi, dalle critiche sullo scontro armato eseguito da Putin nel Caucaso alla partecipazione alla Marcia Russa- un raduno di forze xenofobe dell’ultradestra russa-, dal suo supporto alle operazioni di guerra del 2008 contro la Georgia alla richiesta di espulsione di tutti i cittadini georgiani dalla Federazione Russa.

Nel 2007 darà vita al movimento patriottico Narod (Popolo), ed è proprio di quell’anno uno dei video più controversi in cui paragona gli abitanti musulmani del caucaso settentrionale a scarafaggi contro cui consiglia di usare la pistola.

Nel 2011 Navalny partecipa alla campagna “Stop Feeding The Caucasus” (basta sostenere il Caucaso) sottolineando come Mosca sostenga regimi sanguinari a discapito degli interessi dei russi e degli abitanti stessi di quelle regioni.

Di lì a poco la politica estera travolge la politica interna russa, l’esplosione del conflitto in Ucraina prima e l’intervento russo in Siria poi monopolizzano il dibattito interno; il paese si ricompatta attorno al suo presidente e il rating di Putin torna alle stelle.

Nel 2014 fu costretto agli arresti domiciliari per un caso di corruzione che lui definisce “fabbricato ad arte”: in una celebre l’intervista di Aleksey Venediktov caporedattore di Radio Echo di Mosca alla domanda “se lei diventasse presidente restituirebbe la Crimea all’Ucraina?” Navalny rispose “la Crimea non è mica un panino al prosciutto che si prende e si restituisce così”, risposta che gli costò critiche di altri oppositori e l’ira di mezza Ucraina.

(fonte: sputnick italia)

È nel 2016 che Aleksei Navalny entra nel personaggio conosciuto oggi da mezzo mondo quando annuncia di voler correre alle presidenziali del 2018 contro Vladimir Putin, tuttavia a pochi mesi dalla sua candidatura la corte di Kirov riapre un procedimento per corruzione sospeso in passato e annulla di fatto la sua possibilità di candidarsi. Alle elezioni del 2018 Putin corre praticamente da solo e porta a casa un solido 77 per cento di consensi.

L’occasione per rifarsi arriva con le elezioni per la Duma di Mosca nel 2019: Navalny e il suo movimento rilanciano sulla piattaforma un sistema di Smart Voting” (“Voto Intelligente”), un metodo di opposizione politica al partito dominante, la cui strategia è stata quella di suggerire agli elettori di votare per un qualsiasi “singolo” candidato non associato al partito della Russia Unita, il partito di Putin, piuttosto che astenersi, al fine di ridurre rappresentanza di questo partito nel parlamento di Mosca.

I risultati si vedono: hanno avuto più voti i candidati tramite il “voto intelligente” che i rappresentanti del partito Russia Unita. Su 45 seggi nella Duma, i candidati della Russia Unita ne hanno ottenuto 25 e, a differenza delle elezioni precedenti, nessuno di costoro ha ricevuto più del 50% dei voti.

Il resto è storia recente, il 20 Agosto 2020 Navalny si accascia al suolo sul volo che da Tomsk (in Russia) doveva riportarlo a Mosca; dopo giorni di agonia in un ospedale la famiglia riesce ad ottenere il trasferimento in Germania. A Berlino i medici certificano l’avvelenamento tramite utilizzo di una sostanza nota come Novichok, largamente utilizzata dai servizi russi. Mosca nega tutto ma in uno spettacolare video Navalny riesce a contattare un funzionario dei servizi segreti russi pretendendo di essere un alto ufficiale dove riesce ad estorcere rivelazioni compromettenti sul coinvolgimento dei servizi russi nel suo avvelenamento.

Rimesso in salute Navalny torna in Russia il 17 gennaio dove viene arrestato al suo atterraggio per aver violato la sua custodia cautelare.

Il processo Navalny

Il 28 dicembre, mentre Navalny era ancora in Germania, la polizia russa gli aveva ordinato di presentarsi entro l’indomani per un controllo, dicendo che se non lo avesse fatto sarebbe scattato un ordine di carcerazione nei suoi confronti. Tuttavia, Navalny era ancora in fase di convalescenza e non si è potuto presentare. A causa di questa presunta violazione, le autorità russe avevano chiesto che il tribunale convertisse la condanna sospesa nei suoi confronti in una reale pena detentiva in carcere.

Nel processo di martedì, quindi, si è dibattuto sull’effettiva impossibilità di Navalny di tornare in Russia. I suoi avvocati dovevano dimostrare la gravità delle condizioni cliniche, mentre l’accusa sosteneva che potesse tornare ma che non lo abbia fatto deliberatamente.

Il giudice ha però condannato Navalny a 3 anni e mezzo di carcere – di cui 9 mesi sono stati già scontati agli arresti domiciliari – per una controversa condanna per corruzione del 2014 che era stata precedentemente sospesa.

Secondo diversi corrispondenti di giornali internazionali che hanno assistito al processo, Navalny stesso si sarebbe difeso dicendo che si trovava prima in coma, poi in terapia intensiva, e di aver inviato non appena possibile i documenti che testimoniavano la sua situazione clinica.

Raccontano di un emozionante discorso, non strettamente legato alla propria difesa e con intenti più politici, in cui ha accusato ancora una volta Vladimir Putin di aver cercato di ucciderlo, facendolo avvelenare dagli agenti dei servizi di sicurezza.

(fonte IlPost)

“C’erano Alessandro il Liberatore e Jaroslav il Saggio. Beh, ora avremo Vladimir l’Avvelenatore di Mutande” – il veleno usato dai servizi di sicurezza russi per tentare di ucciderlo sarebbe stato messo nei suoi vestiti, specialmente nella biancheria intima e soprattutto all’interno dei boxer-.

I martedì mattina molti sostenitori di Navalny si sono radunati davanti al tribunale durante il processo per chiederne la scarcerazione:

Navalny ha anche detto che il suo arresto è solo un modo per spaventare milioni di persone e ha ringraziato “chi combatte e non ha paura”, riferendosi a tutti quelli che in questi giorni hanno protestato per chiedere la sua scarcerazione- secondo OVD-info, un sito che monitora gli arresti durante le manifestazioni di opposizione, oltre 300 persone sono state arrestate in poche ore– , ha aggiunto che sistema di repressione crollerà perché sempre più gente scenderà in piazza, “perché non potete mettere in prigione tutto il paese”.

Manuel De Vita