“La guerra dei vaccini”: l’UE contesta le dichiarazioni del Ceo di AstraZeneca

Redazione Attualità
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È in corso una vera e propria “guerra dei vaccini’’, che vede impegnate le potenze mondiali in una frenetica corsa per l’accaparramento delle forniture di antidoti contro il Covid. Di recente è stata inasprita dalle accuse, fatte negli ultimi giorni dalla Commissione Europea, contestate da Pascal Soriot, amministratore delegato (CEO) dell’azienda farmaceutica britannico-svedese AstraZeneca, in un’intervista a Repubblica.

Azienda farmaceutica AstraZeneca. Fonte: Sky TG24

Bruxelles lo rimprovera per i ritardi annunciati e le insufficienti consegne del vaccino prodotto dalla sua azienda;  chiede, inoltre, lo svincolo dalla clausola di segretezza per la pubblicazione del contratto.

Alle 18.30 di questo pomeriggio era prevista una riunione del comitato direttivo sui vaccini Ue con AstraZeneca, in cui si sarebbe insistito sulla consegna delle dosi, ma la società ha fatto slittare l’incontro a domani.

AstraZeneca non è all’altezza della celerità pretesa dall’Ue 

Lo scorso venerdì, l’azienda aveva annunciato tagli alle consegne delle dosi vaccinali del 60% nel primo trimestre di quest’anno, riconoscendo di non poter produrre le dosi richieste dalla Commissione nei tempi concordati. In Italia, dunque, si prospetta un ritardo di almeno un mese nella campagna vaccinale: entro marzo dovrebbero arrivare circa 3,4 milioni di dosi, contro le 16 milioni previste inizialmente.

Le autorità europee, di fronte ad un simile scenario, hanno accusato i dirigenti dell’azienda farmaceutica di privilegiamento delle consegne ad altri Paesi, ai quali avrebbero venduto il vaccino, anche a prezzi più alti. Il principale indiziato sembra essere il Regno Unito, che ha già autorizzato la produzione delle dosi vaccinali.

Soriot nega le accuse 

Il CEO di AstraZeneca, Pascal Soriot. Fonte: Il Post

Durante l’intervista ai giornali del consorzio Leading European Newspaper Alliance – tra cui Repubblica – Soriot ha fornito la sua versione sulle circostanze, ricordando che il Regno Unito aveva stretto accordi tre mesi prima dell’Unione Europea. Uno scarto di tempo significativo per consentire all’azienda un’adeguata organizzazione per la disposizione della produzione nei propri impianti britannici. Ha inoltre ribadito che AstraZeneca ha promesso di non trarre profitti dal proprio vaccino nella prima fase di distribuzione:

‘’Come detto, Regno Unito e Unione Europea hanno due catene produttive diverse e al momento quelle britanniche sono più efficienti perché sono partite prima. In ogni caso, sia chiaro: non c’è alcun obbligo verso l’Unione Europea. Nel nostro contratto c’è scritto chiaramente: “best effort”, ossia “faremo del nostro meglio”. In quella sede abbiamo deciso di utilizzare questa formula nel contratto perché all’epoca l’Unione Europea voleva avere la stessa capacità produttiva del Regno Unito, nonostante il contratto fosse stato firmato tre mesi dopo. Così noi di AstraZeneca abbiamo detto: “OK, faremo del nostro meglio, faremo il possibile, ma non possiamo impegnarci contrattualmente perché abbiamo tre mesi di ritardo rispetto al Regno Unito”. Non è dunque un obbligo contrattuale, ma un impegno a fare il massimo. Perché sapevamo che sarebbe stato difficile e difatti ora abbiamo un po’ di ritardo.’’

La versione non è parsa tuttavia convincente agli occhi delle autorità europee, data la mancanza di prove e ulteriori dettagli che dimostrerebbero i problemi produttivi riscontrati dalla società, giustificandone il ritardo.

Mamer ribadisce i doveri di AstraZeneca

Il portavoce della Commissione Europea, Eric Mamer è intervenuto, in risposta all’intervista, ribadendo che l’azienda deve rispettare gli obblighi contrattuali e ha il dovere di fornire dettagliate spiegazioni circa l’impedimento nella consegna delle quote vaccinali promesse:

“Quando hanno firmato l’accordo, lo hanno fatto sulla base della capacità di produrre” ha detto.

Fonte: Repubblica.it

Mamer aveva anche ricordato che, in precedenza, negli accordi si parlava di una capacità di produzione che avrebbe consentito di poter rispettare gli impegni presi, senza alcun riferimento ad eventuali tagli alle forniture o ad un sito produttivo nello specifico. L’Europa reclama, quindi, una produzione delle dosi richieste anche nel Regno Unito (fino ad ora non impiegate altrove), oltre quella che viene fatta nell’impianto in Belgio.

Gaia Cautela