Il diritto di contare: quando il “limite” è solo nella formula

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Nuovo incontro in collaborazione con l’associazione AEGEE-Messina per il cineforum #socialequity: il film della settimana è la pellicola del 2016 di Theodore Melfi, Il diritto di contare (Hidden Figures).

Voto UVM: 5/5; una pellicola che pur trattando tematiche importanti è scorrevole e mai banale

Ispirandosi a tematiche di equità sociale, il film racconta la vera storia di Katherine Johnson (conosciuta anche come Katherine Gobble) che con l’aiuto delle proprie amiche, negli anni ’60, lotta contro le mille discriminazioni subite in ambiente lavorativo (e non) per poter esercitare i propri diritti. Tra tutti, quello di contare: ossia quello di vedersi riconosciute le proprie capacità, il proprio potenziale, ma anche e soprattutto quello di essere considerata al pari dei propri colleghi.

Magistrali le interpretazioni di Taraji P. Henson, Octavia Spencer e Janelle Monáe, affiancate da Kevin Costner, Kirsten Dunst e Jim Parsons.

(paoline.it)

La trama

Il film si apre con un salto negli USA del passato, mostrando una Katherine (Taraji P. Henson) in tenera età che studia presso un istituto per sole persone di colore (termine che con accezione dispregiativa veniva utilizzato per indicare la gente afroamericana). Sono gli anni della segregazione razziale e avranno fine solo decenni dopo. La bambina si distingue per le eccezionali doti matematiche, che le garantiscono di poter studiare nei migliori istituti.

Tornati al presente (nel 1961) Katherine ha trovato occupazione come addetta calcolatrice presso gli uffici della NASA assieme alle amiche Dorothy Vaughan (Octavia Spencer) e Mary Jackson (Janelle Monáe). Queste ultime – come la protagonista – aspirano entrambe a degli incarichi più alti ed adatti alle loro capacità ma che tuttavia non riescono a raggiungere, per via delle diffuse discriminazioni razziali dell’epoca.

Una svolta si ottiene in seguito alla promozione della protagonista, ammessa a lavorare per la Space Task Group. Quest’ultima, nata in occasione della “corsa allo spazio” contro i sovietici, mirava a mandare un uomo in orbita prima dei russi, ma come sappiamo, il primato è di questi ultimi che lanciarono in orbita di Yuri Gagarin nel 1961.

Da qui, molte sfide incroceranno i destini delle tre donne, che dovranno fare i conti con un computer IBM 7090 – che minaccerà il lavoro di molte addette del settore calcoli – e con una licenza d’ingegneria ottenibile soltanto frequentando dei corsi (presente in un istituto per soli bianchi).

(blog.screenweek.it)

«Un passo avanti per tutte noi»

La pellicola richiama un periodo di forte sofferenza per tutte le donne nere, riuscendo a mettere in luce una discriminazione subita a trecentosessanta gradi: intanto perché nere e successivamente perché donne. Le oppressioni che si riverberano nella vita di queste tre donne geniali ci mettono di fronte ad un grande quesito: dove saremmo oggi se il talento di molte di queste persone non fosse andato sprecato per stupide e immotivate discriminazioni razziali?

La particolarità di questo film è che, pur essendo ispirato alla lotta per i diritti civili, non ritrae enormi gesti clamorosi ed eroici: si tratta di persone che riescono a farsi strada grazie alle proprie armi e nello specifico quelle della mente.

E non è perché indossiamo le gonne… è perché indossiamo gli occhiali!

Questo è ciò che afferma la protagonista Katherine mentre passeggia col Tenente Jim, il quale mostra alcuni segni d’incertezza all’idea che una donna possa occuparsi di “cose così complicate”.

(comingsoon.it)

I vari volti dell’oppressione

Da qui, si evincono le oppressioni ricevute non solo dagli oppressori bianchi, ma per giunta dagli uomini neri che stanno al loro fianco. Tale caratteristica viene pienamente impersonata dal marito dell’amica Mary, il quale vorrebbe che lei fosse più presente a casa e la intima a non accettare le «concessioni dei bianchi, perché i diritti si dovrebbero pretendere». Una voce molto più radicale, che tuttavia investe il libero arbitrio dell’aspirante ingegnere. Ciò, tuttavia, non la fermerà dallo scegliere la strada più adatta a sé.

E ancora, naturalmente, non manca l’oppressione da parte di altre donne: la responsabile del reparto in cui lavorano le tre addette, interpretata da Kirsten Dunst, abbraccia il proprio ruolo di antagonista bloccando continuamente la strada a Dorothy che aspira a ricevere il ruolo di responsabile permanente.

Molti saranno gli ostacoli, molte le umiliazioni che si porranno sul cammino delle tre matematiche: a partire dalle difficoltà di trovare un bagno per gente di colore, passando per i famosi autobus coi posti a sedere per soli bianchi.

(rsi.ch)

Una valutazione finale

Insomma, un tripudio di tematiche che se non fossero state gestite con la massima serietà ed accuratezza avrebbero potuto mettere a rischio il film: fortunatamente quella che ci è stata servita è una pellicola seria ma leggera, dalla vena ironica (il classico “si ride per non piangere”) che coinvolge, che ci fa entrare nel mondo di una donna afroamericana negli anni ’60.

Riuscendo nell’intento, questo lungometraggio è riuscito a guadagnarsi varie candidature agli Oscar, tra cui quella a Miglior film, a Migliore attrice non protagonista (per Octavia Spencer) e quella a Migliore sceneggiatura non originale.

Una storia non certo facile da raccontare, ma da cui le giovani donne nere di oggi possono trarre ispirazione ed un sospiro di sollievo nel vedersi rappresentate. E questa componente non va affatto sottovalutata.

 

Valeria Bonaccorso