Caso Regeni, la procura di Roma chiude l’inchiesta: quattro gli accusati

Redazione Attualità
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Giorno 10 dicembre la procura di Roma ha ufficialmente chiuso le indagini sul caso dell’omicidio Giulio Regeni, il ricercatore friulano rapito, torturato e ucciso nel 2016 in Egitto.

Quattro membri della National Security egiziana sono accusati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

La Storia di Regeni

È il 25 gennaio 2016, Giulio, un ragazzo di 28 anni, è ricercatore all’Università di Cambridge e si trova in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani. Uscirà di casa, senza mai fare ritorno.

Solo il 3 febbraio verrà ritrovato il suo corpo privo di vita, seminudo e con segni evidenti di tortura, lungo la superstrada che collega il Cairo con Alessandria. Immediatamente partono le inchieste simultanee dalla procura di Roma e dalla procura del Cairo, con vari incontri tra gli inquirenti. Immediati, però, anche i tentativi di depistaggio da parte degli investigatori egiziani. Paventate le ipotesi di omicidio passionale e persino quello dello spaccio di droga. Moventi considerati sempre inverosimili dagli investigatori italiani.

Poi, il 24 marzo, in seguito ad un conflitto a fuoco in cui persero la vita cinque presunti sospettati dell’omicidio fu rivenuta la prima traccia di una pista collegata direttamente ai servizi segreti egiziani. Infatti, nella casa di uno dei sospettati fu ritrovato il passaporto di Giulio. Oltretutto le indagini rivelarono successivamente che a portare lì il documento fosse stato un agente della National security, i servizi segreti civili egiziani.

Roma richiamò il proprio ambasciatore al Cairo, lamentando la scarsa collaborazione egiziana nelle indagini. Dopo poco più di un anno l’Italia nominò un nuovo ambasciatore e i rapporti diplomatici tra i due paesi ripresero.

La svolta decisiva si ebbe nel dicembre del 2018, quando la Procura di Roma iscrisse nel registro degli indagati il nome di cinque militari egiziani ritenuti responsabili del sequestro di Regeni. É maggio del 2019 quando un supertestimone ascolta una conversazione tra uno degli agenti responsabili del rapimento e un altro poliziotto africano. Quest’ultimo rivelerà che Regeni fu ucciso dai servizi di sicurezza egiziani perché creduto una spia inglese.

(fonte: avvenire)

Il Resoconto della Procura

Il quadro che emerge è che Regeni sia stato seviziato e torturato per un totale di nove giorni con una ferocia sconcertante. Il tutto avvenuto «in più occasioni e a distanza di più giorni», con atti disumani: “perdita permanente di più organi”, “acute sofferenze fisiche”, “numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico-dorsale e degli arti inferiori”, “urti a opera di mezzi contundenti”, “meccanismi di proiezione ripetuta del corpo contro superfici rigide ed anelastiche

Fondamentali le cinque testimonianze chiave raccolte dalla procura di Roma, di cui una racconta: «Ho visto Regeni nell’ufficio 13 e c’erano anche due ufficiali e altri agenti, io conoscevo solo i due ufficiali. Entrando nell’ufficio ho notato delle catene di ferro con cui legavano le persone… Lui era mezzo nudo nella parte superiore, portava dei segni di tortura e stava blaterando parole nella sua lingua, delirava… Era sdraiato steso per terra, con il viso riverso… L’ho visto ammanettato con delle manette che lo costringevano a terra…».

Oltretutto le sevizie che hanno portato alla morte del ricercatore, scrivono i magistrati, «sono avvenute per motivi abietti e futili e abusando dei poteri, con crudeltà …».

A rischiare il processo sono il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif per il reato di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di quest’ultimo i pm ipotizzano anche il concorso in lesioni personali aggravate– essendo stato introdotto il reato di tortura solo nel luglio 2017, dopo l’omicidio- e il concorso in omicidio aggravato.

Verità per Giulio

(fonte: Il Fatto Quotidiano)

Cosa state facendo per la verità?”, il grido a rompere un silenzio sempre più assordante.

Sono gli stessi genitori di Giulio Regeni a puntare il dito contro il governo, prevalentemente verso il premier Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio

Mentre con il passare degli anni emergono i dettagli sull’omicidio del ricercatore e in in parallelo si assiste alla vergogna dell’ergastolo cautelare immotivato per lo studente dell’università di Bologna Patrick Zaki, i rapporti diplomatici e commerciali tra l’Italia e l’Egitto proseguono indisturbati.

Ci si aspetterebbe una presa di posizione netta che non c’è stata; silenzio italiano che ben concilia con il silenzio del resto dell’Unione europea, culla di diritti umani e democrazia. Il motivo è abbastanza semplice: l’Egitto è un grande partner commerciale. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel non ha fatto cenno ai diritti umani nella sua recente visita al Cairo, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha rilasciato invece dichiarazioni in proposito senza che però fossero seguite da misure concrete, mentre i leader dei principali paesi europei continuano a fare affari e a intrattenere, tranquillamente, relazioni amichevoli con il regime di Al-Sis.

L’ultimo episodio è stato il conferimento della Legion d’onore, da parte del premier francese Emmanuel Macron al presidente egiziano a Parigi.  Ci sarebbero gli estremi per un incidente diplomatico con l’Italia, grande partner francese costretta ad assistere a tutto questo nelle stesse ore in cui vengono diffuse le notizie sulle sevizie a Giulio Regeni.

Mentre l’Italia e l’Europa puntano il dito contro l’Ungheria di Viktor Orban, invocando il rispetto dello stato di diritto come presupposto per l’erogazione dei finanziamenti comunitari, dall’altro lato della medaglia spiccano l’indifferenza e l’omertà rispetto a ciò che succede oltre i propri confini continentali, anteponendo gli interessi commerciali ai diritti umani.

Manuel De Vita