Il messinese è “buddace”: ecco perché

Corinne Rianò
CORINNE RIANÒ
Cultura Locale
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La Sicilia da sempre è una terra pregna di un notevole e caratteristico patrimonio socioculturale, che spazia dalle bellezze artistiche e paesaggistiche, fino a giungere agli usi e costumi quotidiani e tradizionali. Tra questi, oltre alla profondità e alle svariate sfaccettature dei dialetti siculi, troviamo degli appellativi che spesso ci capita di ascoltare per le vie delle città mediterranee. Ponendo degli esempi, i Catanesi sono soprannominati “pedi arsi” (piedi bruciati) o “fausi” (falsi), i Palermitani “lagnusi” (lamentosi), e i Messinesi “buddaci“.

 
Esemplare di Sciarrano – Fonte: biologiamarina.org

Ma ci siamo mai chiesti perché la comunità Peloritana viene chiamata così? Cos’è un “buddaci”?

Il pesce buddace, in italiano “sciarrano“, nome scientifico Serranus Scriba (dal latino scriba,”scrivano”) vive nelle acque dello Stretto. Di anatomia abbastanza piccola, normalmente lungo circa 25 cm, possiede un manto a linee intrecciate arancioni e blu che possono somigliare a una forma di scrittura, a cui è ispirato il nome della specie. Non è pregiato o particolarmente gustoso, e sta ininterrottamente con la bocca aperta; pertanto, viene pescato con facilità, anche a causa del suo continuo appetito e della sua ingenuità. Da qui i Messinesi vengono definiti spregiativamente come buddaci: popolo poco furbo, credulone, che si vanta senza aver agito concretamente, buono a nulla.

Ma a quando risale quest’appellativo?

La parola buddace non è di certo un neologismo. Era già diffusa agli inizi del ‘900 e ciò è testimoniato anche dal titolo di un settimanale umoristico antifascista edito a Messina nel 1924, “U buddaci“. Nel 1925 però, dopo pochi numeri, fu chiuso dalla censura fascista, condividendo la stessa sorte con altre testate locali.

©Lara Maamoun – Facciata di Palazzo Zanca, Messina 2020

 

Il buddace nell’architettura cittadina

Eppure, c’è anche un altro luogo dove possiamo imbatterci nel pesciolino buddace nella realtà cittadina, oltre al mare. Camminando per le vie del centro città, giungendo a Palazzo Zanca (sede del Comune) possiamo notare sulla facciata delle decorazioni raffiguranti i pesci buddaci. La specie marina protagonista di questo articolo non è l’unica a comparire sul monumento: è accompagnata infatti da altre sculture legate alla simbologia cittadina, come la Regina del Peloro e Dina e Clarenza. Sembrerebbe proprio che l’ingegnere Palermitano Antonio Zanca, al quale nel 1914 fu affidato il progetto di ricostruzione del Municipio dopo il terremoto del 1908, non abbia ricevuto per diverso tempo nessuna remunerazione, e che quindi, come simbolo di disprezzo ai Messinesi, fece inserire i pesci buddaci sull’edificio. 

 

Dettaglio della facciata di Palazzo Zanca – Fonte: strettoweb.com

Nonostante ciò, si deve sottolineare che non tutti i messinesi sono buddaci. Non lo dice l’autrice di questo articolo, magari in difesa dei suoi concittadini, ma lo testimoniano fonti storiche: in scritti antichi la comunità messinese è descritta come vivace, intelligente, artistica, eroica ed ospitale. Seppur ancora oggi è frequente che un messinese venga chiamato buddace, adesso questo termine ha una connotazione non più unicamente dispregiativa, bensì ironica. I messinesi stessi considerano l’appellativo come facente parte del loro patrimonio linguistico e, talvolta, si autodefiniscono buddaci e ci scherzano su, con la consapevolezza di chi conosce bene la propria identità.

Corinne Marika Rianò

 

Bibliografia:

Eleonora Iannelli, Messina Ritrovata, Edizione della Libreria Bonanzinga