Decreto Semplificazioni: cos’è e perché sta facendo discutere

Redazione Attualità
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L’economia italiana si appresta a vivere un periodo di notevoli difficoltà: l’emergenza Covid-19, i mesi di lockdown e la generale paranoia che ancora anima le scelte di alcune categorie di cittadini continuano a rappresentare un freno per la ripresa del mercato nostrano. Il governo ha dunque deciso di intervenire in un settore particolarmente delicato qual è quello degli appalti pubblici. Il Decreto Semplificazioni, questo il nome scelto per la manovra, è un pacchetto di misure approvate dal consiglio dei ministri nella notte tra il 6 e il 7 luglio che, sospendendo alcune norme del d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici), intende abbreviare i tempi relativi alla realizzazione delle cosiddette “grandi opere”. Il piano dell’esecutivo è quello di investire i fondi europei (circa 172 miliardi, a cui aggiungere eventualmente i 37 miliardi del MES) nella realizzazione di una lista di opere e infrastrutture (circa una cinquantina) garantendo così posti di lavoro nell’immediato e, nel lungo termine, una ricaduta positiva sul territorio interessato.

Prima di analizzare il contenuto della manovra è necessario avere ben presente quello che è il regime ordinario.
Mediante lo strumento dell’appalto pubblico la pubblica amministrazione si rivolge agli operatori economici privati per realizzare un bene di interesse pubblico. Data l’importanza degli interventi e la mole di interessi in gioco si tratta di uno dei settori che maggiormente ha risentito dell’influenza del diritto europeo: quest’ultimo ha infatti tra i suoi capisaldi il principio della libera concorrenza, principio in forza del quale a una pluralità di operatori economici devono essere garantiti la libera partecipazione, la trasparenza del mercato e la simultaneità delle contrattazioni. Il rispetto di queste condizioni è garantito dall’indizione di una gara (la gara d’appalto) in cui, sotto la responsabilità dell’autorità competente e sulla base del contenuto del bando e dell’offerta più conveniente, viene individuato l’operatore che si aggiudica l’appalto.

Il D.lg. Semplificazione opera proprio in questa fase. Vengono individuate quattro categorie di opere:

  • di una valore massimo fino a 150.000 euro,
  • di valore massimo fino a 5 milioni di euro,
  • di valore superiore ai 5 milioni di euro;
  • di valore superiore ai 5 milioni di euro, ma di importante valore strategico nazionale.

Fino al 31 luglio 2021 tutte gli appalti relativi alla realizzazione di opere fino a 150.000 euro verranno assegnate direttamente, utilizzando un procedimento già previsto nel precedente D.lg. “Sblocca Cantieri”.

Quelle sino a 5 milioni di euro verranno assegnate successivamente ad una gara “ad invito” e non, dunque, una gara d’appalto pubblica. Una procedura di certo più veloce ma meno trasparente che attribuisce un maggiore potere discrezionale al soggetto assegnatario. Le opere il cui valore sia invece superiore a 5 milioni di euro verranno assegnate mediante procedura regolare. È pur vero però che già un opera rientrante in questa categoria è stata realizzata (il ponte Morandi) ma con un procedura semplificata. Come? Attribuendo all’opera “strategicità nazionale”, rientrando dunque nella quarta categoria di opere. È facile ipotizzare dunque che già dall’anno prossimo sarà possibile per una serie di grandissime opere adoperare il cosiddetto “modello Genova”, senza l’indizione di una gara d’appalto e nominando invece un commissario straordinario.

Sostanzialmente per un anno (fino al 31 luglio 2021), in Italia, le gare d’appalto saranno abolite, abbattendo in tal maniera un regime, quello del codice degli appalti pubblici, che fin dalla sua introduzione, pur essendo stato oggetto di numerosi tentativi di riforma, ha sempre garantito il rispetto del principio di libera concorrenza.

Le critiche sono parecchie e non tutte pretestuose. Le principali sottolineano come la cancellazione delle gare d’appalto non potrà fare altro che eliminare qualsivoglia forma di giusta competizione, aumentando l’assenza di trasparenza e, sotto il velo della “sburocratizzazione”, moltiplicare quel clientelismo che da sempre si annida nelle maglie della nostra pubblica amministrazione.

Un tale misura garantirà un eccessiva discrezionalità a una classe, quella politica, che, la storia ci insegna, ha spesso ove potuto sperperato i fondi o li ha adoperati per consolidare il proprio consenso. È inoltre facilmente ipotizzabile un aumento dell’infiltrazione della criminalità organizzata. Il premier a tal fine ha parlato, durante il “question time” alla Camera, di “rafforzamento dei presidi di legalità”, un’affermazione che, in assenza di chiarezza, sembra indicare un aumento dei controlli e dunque una maggiore burocratizzazione delle procedure con il conseguente appesantimento della macchina amministrativa.

Infine si può notare come il raggio d’azione che avrà questo nuovo sistema sarà circoscritto alla fase della gara d’appalto, mentre le successive (progettazione, inizio e completamento dei lavori) rimarrebbero invariate. Sebbene spesso additata come la più complicata, in media questa prima fase dura solamente il 13% del tempo totale che intercorre tra l’emanazione del bando e il completamento dell’opera. E se da una parte è vero che verrebbero invece totalmente evitate le eventuali lungaggini derivanti dai contenziosi sorti nelle gare d’appalto, per cui le parti decidono di adire i tribunali competenti, queste liti, secondo “l’Analisi di impatto del contenzioso amministrativo in materia di appalti” relativa al biennio 17-18, avvengono nel 1,5% dei casi e solo in 1/3 di questi i lavori vengono effettivamente bloccati.

È importante quindi capire che il superamento della fase della gara d’appalto, per quanto si tramuti in una velocizzazione della procedura, concretamente riguarderebbe solo una porzione infinitesimale dei tempi complessivi attinenti i casi di contenzioso, mentre, per quel che riguarda le procedure di assegnazione, il risparmio sarebbe di circa 6 mesi su un periodo di lavori medio di 4 anni. Un tempo non indifferente, ma sufficiente a giustificare l’esclusione di una competizione pulita e trasparente?

Filippo Giletto