Russia, voucher a chi va a votare e il 78% dice sì. Come Putin ha consolidato il suo potere

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Quasi il 78 percento degli elettori russi ha appoggiato le riforme costituzionali volute dal presidente russo Vladimir Putin votando sì al referendum nazionale tenutosi il 1° luglio. L’affluenza totale alle urne è stata circa del 65%, una percentuale che, nonostante le modalità insolite di svolgimento del plebiscito, risente ampiamente dell’emergenza Covid-19 (solo nella giornata di ieri sono stati registrati 6718 nuovi casi in Russia).

Le operazioni elettorali sono durante ben sette giorni e sono stati numerosi gli escamotage messi in atto dalle autorità per incentivare i russi a recarsi a votare. Dalle pressioni sui dipendenti della pubblica amministrazione e delle grandi holding di Stato perché si esprimessero per il sì al programma di “premi” organizzato dal Comune di Mosca con due milioni di voucher da regalare agli elettori per l’acquisto di beni e servizi fino alla fine del 2020 e giustificato come un’iniziativa per “stimolare i consumi”. E ancora auto o sconti al ristorante messi in palio dai governatori delle altre regioni, o di consentire ad alcune centinaia di persone di votare addirittura tre volte, sforando il tetto del 100% dei consensi in alcune province, senza parlare delle innumerevoli segnalazioni di violazioni e brogli prontamente liquidate dal Cremlino come fake news. Un dato interessante sono i risultati relativi alle comunità russe all’estero. A Londra, Parigi e Berlino il “no” è stato massiccio, con percentuali che vanno dal 67% all’80%. Pure a Milano ha vinto il no col 55%, mentre a Roma ha prevalso il sì col 59%.

Non sono mancate critiche da parte dell’opinione pubblica internazionale con gli Stati Uniti e l’Unione Europea che hanno fatto sapere di essere preoccupati circa la democraticità e la trasparenza dello scrutinio referendario.

Oggetto della consultazione popolare era l’approvazione in blocco dei 46 emendamenti alla Costituzione russa del 1993 voluti fortemente da Vladimir Putin e pubblicizzati come un passo necessario per rafforzare e consolidare quei principi e valori patriottici russi che hanno caratterizzato la ventennale azione politica del suo presidente. Gli emendamenti sono tanti e di diversa natura. Nel nuovo testo il matrimonio sarà definito come “un’unione tra un uomo e una donna“, rinvigorendo il divieto dei matrimoni gay e indebolendo le pretese delle minoranze sessuali. Viene inoltre inserito un accenno alla “fede in Dio“, rafforzando il legame con la Chiesa Ortodossa. Dal punto di vista storico si afferma che la Russia è l’erede dell’URSS e si vieta di sminuire il contributo sovietico nella lotta al nazismo. Viene inoltre sancito il divieto di cedere ad altri Paesi parti del territorio russo: un modo quest’ultimo per ribadire che Mosca non intende restituire all’Ucraina la Crimea, annessa di fatto dalla Russia nel 2014.

Infine c’è poi una terza categoria di emendamenti che riguardano il benessere socio-economico la cui previsione, è stato fatto notare, è avvenuta unicamente per attirare voti: introduzione nella Costituzione dell’indicizzazione delle pensioni e il divieto dell’erogazione di stipendi inferiori al minimo di sussistenza, per ora fissato a 135 euro al mese.

È innegabile però che, al netto dei cambiamenti costituzionali, la riforma delinea un nuovo assetto tra gli organi dello Stato dal quale ne esce nettamente rinforzata la figura del capo di Stato. Viene fatto ripartire da zero il conteggio degli incarichi da capo dello Stato che quindi potrà permettere a Putin di aggirare il limite di due mandati presidenziali consecutivi. Se lo vorrà, l’attuale leader russo (67 anni) potrà ricandidarsi alle presidenziali del 2024 e anche a quelle del 2030, e non è difficile immaginare, dato il largo consenso di cui gode in patria, che riesca a mantenere ininterrottamente il potere fino al 2036 quando avrà 83 anni. Il capo dello Stato potrà adesso imporre il proprio candidato premier anche senza sciogliere la Duma, come invece era previsto nel caso in cui questa respinga tre volte il soggetto designato dal presidente. Potrà inoltre destituire i giudici della Corte costituzionale e della Corte suprema e dirigere i lavori generali del governo, di fatto subordinandolo al Cremlino. Agli ex presidenti verrà riservata la carica di senatore a vita ottenendo così l’immunità parlamentare.

Viene rafforzato anche il Consiglio di Stato, che da mero organo consultivo diviene un organo di rilevanza costituzionale col potere di indicare “la direzione della politica interna e di quella estera e le priorità socio-economiche” del Paese.

Infine, la previsione che il diritto internazionale non si applichi nel caso in cui la Corte Costituzionale lo reputi in contrasto con la legge russa garantendo così un filtro per eliminare gli effetti delle sentenze dei tribunali internazionali.

Filippo Giletto