Prezzo del petrolio in negativo: la domanda si abbassa a causa della pandemia

Redazione Attualità
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Il prezzo del petrolio è crollato sotto lo zero per la prima volta nella storia. La discesa del West Texas Intermediate, petrolio prodotto in Texas e utilizzato come benchmark nel prezzo del petrolio, noto anche come Texas Light Sweet, ha portato la quotazione a toccare quota -37 dollari al barile.

Ciò significa che chi produce petrolio fa sconti su sconti agli acquirenti, e qualcuno è arrivato addirittura a pagare un compratore pur di non smettere di estrarre materia prima. Sul mercato c’è tanta offerta e poca domanda, ma al produttore spesso può costare di più chiudere il pozzo o trovare un posto dove immagazzinare la produzione.

Negli Stati petroliferi come il Texas operano diverse migliaia di piccoli produttori. Sono circa tremila e estraggono ogni giorno qualche centinaio di barili, ma in totale si arriva a circa 1 milione, quanto servirebbe, ad esempio, a soddisfare il fabbisogno dell’Italia. Se fermassero le loro attività non sarebbero neppure sicuri di poterle riaprire in futuro. Questo aspetto, tuttavia, è solo una parte della questione, che è soprattutto finanziaria.

Con i lockdown e le misure di distanziamento sociale che incidono sul 92% del Pil globale, la pandemia di Coronavirus sta mandando al tappeto l’industria petrolifera mondiale. Il crollo della domanda, stimata in calo del 30% rispetto al periodo pre-epidemico, sta portando in negativo i prezzi di alcuni tipi di greggio: i produttori pagano perché qualcuno lo ritiri. Nonostante gli storici accordi Opec-Russia sul taglio della produzione, benedetti dagli USA, il ribasso si accentua via via che le strutture di stoccaggio mondiali si riempiono per l’eccesso di offerta globale pari a 9 milioni di barili al giorno. Il crollo della domanda sta riempiendo, dunque, tutti i sistemi di stoccaggio con centinaia di milioni di barili immagazzinati in tutto il mondo.

Ci sono circa 160 milioni di barili di petrolio stoccati nelle superpetroliere ferme all’ancora davanti ai porti con i terminal di attracco. L’ultima volta che un fenomeno simile si era verificato era il 2009, quando in mare c’erano navi con oltre 100 milioni di barili in attesa di giocare sul rialzo dei prezzi. Le tariffe di noleggio delle superpetroliere sono più che raddoppiate nell’ultimo mese sino a 350 mila dollari al giorno.

Visto che la situazione è totalmente senza precedenti, è impossibile prevedere cosa accadrà sui mercati petroliferi, ma alcuni esperti pensano che il petrolio sia pronto per una grande fiammata. Anche se i prezzi del petrolio sono più bassi di quanto non lo siano mai stati, un fondo per l’energia pensa che 100 dollari al barile siano realizzabili. 

Tuttavia, già a marzo la pandemia aveva depresso i costi. Poi è arrivata la guerra dei prezzi tra la Russia e il cartello Opec dominato dall’Arabia Saudita. Come risposta al calo della domanda, l’Opec aveva tagliato la propria produzione mentre la Russia, la cui economia è totalmente legata alle materie prime energetiche (greggio e metano), aveva rifiutato. L’Opec aveva risposto inondando i mercati. Poi è intervenuto Donald Trump che ha messo d’accordo il presidente russo Vladimir Putin e il saudita Mohammed Bin Salman, che hanno concordato a partire da maggio tagli storici alla produzione pari a 10 milioni di barili al giorno, il 10% della produzione mondiale, per tentare di sostenere i prezzi. A questi potrebbero sommarsi altri tagli di Paesi non-Opec, come gli Usa, per altri 10 milioni di barili al giorno.

Il fatto è che le industrie fondate sul carbonio, come quella del petrolio, sono state storicamente la pietra angolare delle interazioni sociali e della globalizzazione, la cui prevenzione oggi è la principale difesa contro il virus. Paradossalmente questa saturazione del sistema mondiale di stoccaggio del greggio alla fine creerà uno shock inflazionistico di approvvigionamento di petrolio di proporzioni storiche.

Questa disfatta significherà che sempre più produttori shale oil americani dovranno ridurre la produzione, alcuni dei quali in modo permanente. In tale contesto i produttori coinvolti nel recente accordo tra Opec e i membri alleati per frenare la produzione, potrebbero porre le basi per un rimbalzo dei prezzi negli anni a venire. Mentre lo shale oil degli Stati Uniti era già in grave declino con l’invecchiamento dei pozzi del Texas occidentale, con il crollo del prezzo del petrolio è stato ulteriormente gravato da fallimenti e da decine di migliaia di dipendenti licenziati. Probabilmente tornerà in affari quando ci sarà una carenza di capacità inutilizzata. Bassa offerta, alta domanda. Le previsioni fanno comunque pensare che quando questa pandemia terminerà, la domanda di petrolio si normalizzerà molto rapidamente.

Piero Cento