cucinare

In quarantena tutti pazzi per la cucina: perché? Risponde la psicologia

Scienza & Salute
#COVID-19 coronavirus cucina cucinare psicologia

Ammettiamolo: anche noi abbiamo cucinato qualcosa durante la quarantena. Oppure siamo rimasti sorpresi nel vedere che tante persone si sono cimentate nella realizzazione di ricette complesse. Ci hanno provato anche quelli che sapevano solo riscaldare il latte! Ma perché tutti (o quasi) sentono il bisogno di cimentarsi nella cucina durante l’isolamento forzato? La psicologia ci risponde.

 

Partiamo da un presupposto…

Cucinare non è solo una necessità ma anche un rituale che ha una funzione sociale e psicologica. La cucina (soprattutto in Sicilia) è parte integrante dell’identità dei popoli e dei singoli. La condivisione del pasto è un momento di socializzazione, chiedere il piatto preferito dell’altro diventa motivo di conversazione. Addirittura “smascherare” un vegano ci porta a discutere. L’essere umano e il cibo sono legati in maniera indissolubile.

Cucinare ci consente di essere concentrati su un compito specifico, grazie all’ attenzione selettiva. Così ci troviamo focalizzati nel qui” ed ora” (come avviene nella meditazione mindfullness). Escludiamo, cioè, dal nostro campo di coscienza momentaneo tutto il resto. Infatti, le notizie sul numero delle vittime, le previsioni circa la situazione economica, gli ammonimenti dei medici ecc vengono momentaneamente ignorati. Ciò significa che siamo totalmente sommersi nell’ esperienza che stiamo vivendo.

Inoltre, cucinando  si attiva il nostro locus of control interno. Esso è il processo tramite il quale la persona ritiene di poter gestire gli eventi che riguardano la propria vita. Ciò sta ad indicare che, di fronte alla precarietà di questo momento storico, cerchiamo di salvaguardaci. Come? Auto-inducendoci un senso di calma e di prevedibilità tramite la messa in atto del rituale del cucinare.

La “danza dei fornelli” è la versione evoluta della “danza della pioggia”! Gli antichi cercavano di controllare gli eventi soprannaturali con il rito. Noi, invece, tentiamo di gestire le emozioni  negative (ansia, rabbia, frustrazione) legate a questa quarantena imposta (e quindi non controllabile, come la pioggia).

Per cucinare una ricetta dobbiamo “stick to the plan

Ovvero “attenerci al piano” come dice lo chef Gino D’Acampo. Bisogna usare specifici ingredienti, metodi e tempi per ciascun piatto. Seguire un piano già predefinito è uno dei pochi elementi certi in questo periodo e ci aiuta a ridurre l’ansia e a favorire il buon umore. Oltre alla concentrazione, mettiamo in atto processi di pianificazione per tutti i processi da eseguire. A volte può capitare di non avere a disposizione tutti gli ingredienti necessari o di voler apportare delle modifiche alla ricetta. In questi  casi facciamo appello alla flessibilità cognitiva, la quale ci consente di essere creativi e di cambiare le carte in tavola. Per il nostro cervello diventiamo dei piccoli artisti anche quando cambiamo la quantità del sale!

Se cuciniamo da soli creiamo un legame con noi stessi. Cioè? Semplicemente ci percepiamo maggiormente, ci confrontiamo con le nostre abilità e comprendiamo meglio le nostre preferenze. Se, invece, cuciniamo in compagnia rinforziamo i legami con gli altri. Cucinare con una persona cara significa condividerci del tempo, svolgere un lavoro di squadra per la riuscita della ricetta, collaborare per adottare le strategie migliori. Praticamente alleniamo la nostra abilità di team working (una delle varie skills richieste dagli annunci di lavoro). E ancora, cucinare per qualcuno significa prendersene cura. Possiamo preparare un pasto per amore, affetto, vicinanza, per dimostrare che ci siamo e che non siamo passivi nel rapporto.

Cucinare vuol dire impegnarsi concretamente nella trasformazione del prodotto. Sviluppiamo le nostre capacità di tolleranza alla frustrazione (quando la ricetta non riesce come dovrebbe) e l’abilità del pazientare (i risultati non sono immediati). Quando cuciniamo,infatti, siamo sia attori che pubblico. Attori perché interveniamo direttamente nell’ atto e ne siamo protagonisti, pubblico perché osserviamo dall’esterno come si evolve il nostro lavoro.

Cucinare, in questo momento, assume anche una valenza collettiva

Lo facciamo tutti perché ci sentiamo parte di un unico gruppo (quello degli isolati) e funge da collante sociale. Anche se non possiamo vederci fisicamente, siamo tutti legati da questo filo invisibile. Attuare un rituale collettivo (cucinare, cantare dal balcone, condividere i tik tok ecc) ci aiuta a sopravvivere socialmente (sostiene il nostro senso di appartenenza). Condividere le foto delle nostre prelibatezze è un modo per dire che facciamo le stesse cose. Svolgere le stesse attività significa appartenere ad un gruppo e non esserne esclusi, quindi non rimanere da soli. Questi elementi sono centrali per un animale sociale, come l’essere umano.

cervello con alimenti

Le aree cerebrali maggiormente coinvolte mentre cuciniamo

-Corteccia prefrontale dorso laterale (pianificazione, working memory,controllo attenzionale, astrazione, comportamento strategico, flessibilità cognitiva);

-Corteccia prefrontale ventrale (controllo delle risposte emotive e dei processi decisionali);

-Corteccia cingolata anteriore (controllo della motivazione,inibizione di stimoli interferenti);

-Corteccia somatosensoriale (memoria delle informazioni provenienti dai sensi: gusto, olfatto ecc.);

-Sistema limbico (memoria delle emozioni provocate dai sensi).

Che aspetti? Corri a cucinare!

Chiara Fraumeni