È possibile diagnosticare un tumore con un prelievo di sangue?

Scienza & Salute
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Una delle maggiori problematiche della medicina moderna è la diagnosi precoce dei tumori maligni: identificarli in uno stadio iniziale corrisponde a dare ottime chance di guarigione al paziente. I metodi oggi a disposizione per ottenere tale scopo sono essenzialmente 2 ed entrambi presentano grossi limiti:

  1. Metodiche di imaging: ecografia, radiografia, TC (ex TAC), risonanza magnetica e altre, che ci permettono di visualizzare strutture all’interno del corpo umano. Tuttavia, neoplasie molto piccole sfuggono costantemente a queste metodiche, nonostante un tumore sia considerato tale già quando composto da poche cellule.
  2. Dosaggio di marcatori tumorali: sostanze che se rilevate su un campione di sangue in quantità elevate indicano la presenza di un tumore. Esempio noto è il PSA (Antigene Prostatico Specifico) per il cancro della prostata. Tuttavia questi markers mancano spesso sia di specificità (ovvero si riscontrano elevati anche in patologie benigne) sia di sensibilità (anche se è presente una neoplasia sono a livelli normali).

Moderna TC

Inoltre, per evitare indagini inutili e costose, l’utilizzo di entrambi deve essere mirato a quei soggetti che seppur sani presentano dei fattori di rischio (condizioni ambientali o ereditarie/familiari) che aumentano la possibilità di sviluppare un cancro.

In altre parole: sarebbe impensabile sottoporre annualmente tutta la popolazione a TC total-body nel tentativo di evidenziare una neoplasia, considerando anche che questa metodica usa radiazioni ionizzanti e quindi è potenzialmente dannosa se usata indiscriminatamente.

Ma veniamo al dunque: è possibile identificare tumori con tecniche non invasive per il paziente e allo stesso tempo efficaci?

Da qualche anno ormai si sta puntando sulla cosiddetta biopsia liquida. Questa tecnica non è altro che un prelievo di sangue, adeguatamente processato in laboratorio. Permette di rilevare molecole rilasciate dal tumore (ccDNA, DNA circolare circolante) e in alcuni casi cellule neoplastiche.

Comporta per il paziente un disagio minimo (per coloro i quali hanno timore del prelievo ancora la scienza non offre molte alternative), se confrontata alla biopsia classica. Questa consiste nel prelevare mediante un ago un campione di tumore, presenta rischio di complicanze e certamente chiunque preferirebbe fare un prelievo sanguigno piuttosto che vedere un ago abbastanza lungo bucare la propria pelle.

Se fino ad ora vi è sembrata una metodica promettente, è inutile sottolineare che -come tutte le cose belle- presenta notevoli difficoltà (soprattutto tecniche). Pertanto ad oggi più che per la diagnosi è usata per monitorare i pazienti con una neoplasia già nota, evitando l’esecuzione di più biopsie invasive.

Ma come è possibile isolare componenti del tumore in mezzo a tutte le altre cellule del sangue?

E se in quel campione specifico non fossero presenti?

A questi problemi ha provato a dare delle risposte il team di ricerca italiano dell’Università degli studi di Catanzaro, guidato dalla dottoressa Malara, in uno studio pubblicato su Nature (sezione oncologia di precisione) nel novembre 2018. Lo studio si concentra non sulla rilevazione di cellule o ccDNA, ma ha un approccio totalmente nuovo: la valutazione delle modificazioni del secretoma. Sicuramente ognuno di voi avrà sentito parlare di genoma, l’insieme di tutti geni presenti nel nostro DNA. Il secretoma non è altro che l’insieme di tutte le proteine secrete, ovvero immesse nei liquidi al di fuori delle cellule, dalle cellule stesse. In particolare, in caso di neoplasia è stato riscontrato un aumento della protonazione, ovvero della quantità di protoni legati a tali proteine.

Questa variazione è spiegata dalla predilezione delle cellule neoplastiche per la glicolisi , via metabolica che ha come risultato:

  1. La produzione di sostanze che rilasciano protoni che quindi si legheranno alle proteine secrete.
  2. La produzione di sostanze che alterano la struttura delle proteine, facilitando il legame ai protoni

In breve: cellula tumorale → glicolisi esclusiva → più protoni → proteine secrete maggiormente protonate. La tecnica prevede una biopsia liquida (5 ml di sangue), la successiva eliminazione delle cellule del sangue (globuli rossi e bianchi, piastrine) e la coltura del materiale rimanente per 14 giorni.

Dalle cellule rimanenti, che nel tempo si moltiplicano, si estrae il campione per l’analisi del secretoma: questo verrà analizzato da un dispositivo all’avanguardia facente parte delle nanotecnologie. È stato inoltre confrontato il campione così ottenuto con campioni estratti direttamente dal tessuto tumorale: le componenti sono risultate essenzialmente identiche, convalidando l’ipotesi che anche da piccole quantità di sangue si possa risalire alla presenza di una neoplasia.

Nei 36 soggetti sottoposti allo studio, alcuni dei quali con neoplasia maligna nota ma non trattata e altri sani, è stata ritrovata una corrispondenza del 100% tra aumento protonazione e cancro.

Non solo: di due pazienti con valori intermedi di protonazione ,uno ha poi effettivamente sviluppato un melanoma (tumore maligno della cute).

Tra gli svantaggi di questa tecnica ci sono la laboriosità ed il costo. Inoltre un risultato positivo indica soltanto la presenza di un tumore, ma non il tipo e la localizzazione. Tuttavia, studiando il singolo soggetto è possibile valutare il rischio personale cancerogenico ed eventualmente approfondire con altre tecniche diagnostiche.

Questa interessante metodica può rappresentare un punto di svolta nella diagnosi precoce di cancro.

In fondo basta solo un po’ di sangue!

Emanuele Chiara