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Serafino Gubbio nell’era della usability

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Denuncia pirandelliana contro l’imperante alienazione tecnologica. Voto UvM: 4/5

 

 

 

È uno dei romanzi pirandelliani meno noti al grande pubblico, anno di pubblicazione 1951: “I Quaderni di Serafino Gubbio operatore”.

Eppure il lettore moderno, a distanza di più di cento anni, non può fare a meno di considerarlo estremamente attuale, vedendo tratteggiata nella storia di un operatore cinematografico temporalmente lontano la relazione che ogni nativo digitale del XXI secolo instaura con i propri strumenti tecnologici.

“La mia mano obbediva impassibile alla misura che io imponevo al movimento, più presto, più piano, pianissimo, come se la volontà mi fosse scesa – ferma, lucida, inflessibile – nel polso, e da qui governasse lei sola, lasciandomi libero il cervello di pensare, il cuore di sentire;”.

Era un bravo operatore Serafino Gubbio, preciso, competente, eccessivamente zelante, avrebbe continuato sempre a girare la sua manovella, qualsiasi cosa fosse successa.

Svolgeva il suo compito con quella carica di impersonalità e freddezza che lo legavano indissolubilmente alla macchina da presa, divenuta il “prolungamento del suo braccio”.

Vi ricorda forse qualcosa questo prolungamento? Ma la macchina non lo lasciava, si era impossessata di lui, lo aveva reso un automa incapace di distinguere tra vita e finzione, spettatore inerme e passivo della realtà registrata silenziosamente come fosse un artificio.

Proprio questo rovesciamento del rapporto tra oggetto e soggetto, tra uomo e macchina, appare terribilmente moderno.

“Fu profetico, un secolo fa Pirandello coi suoi Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Quel legame ambiguo e estremo con la macchina, e la confusione tra vero e virtuale ci riguardano molto da vicino. Anzi troppo, da vicino.”

Lo scrive la giornalista e scrittrice Elvira Seminara, che chiarisce efficacemente le modalità e i rischi connessi al largo ricorso alla “usability”, imperante nell’era del web. Secondo la norma ISO, la più importante Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione, bisogna intendere con il termine usability il “grado in cui un prodotto può essere usato da particolari utenti per raggiungere certi obiettivi con efficacia, efficienza e soddisfazione in uno specifico contesto d’uso”.

Apparentemente irrilevante, la usability incide profondamente sulla relazione sempre più intima e solida intrecciata con le nostre macchine, che ci dominano ed influenzano in un vicendevole scambio per cui “le usiamo e ne siamo usati”.

Il tipo di legame basato sulla usability è in fondo lo stesso già intuito un secolo fa da Pirandello, efficace, semplice, ma distruttivo, capace di rendere Serafino Gubbio indifferente a tutto, persino alla più atroce violenza.

Per comprendere quale importanza rivesta la usability nella nostra vita quotidiana, basta ricordare che in molte riviste è indicato sopra l’articolo anche il tempo di usability, cioè i minuti che servono per leggerlo, come se l’uso e la qualità del tempo non fossero una scelta personale.

Social dilaganti come Facebook rivelano il dominante controllo psichico esercitato da macchine intelligenti quali smartphones e computers, che non solo interagiscono con noi, ma irrompono persino nella nostra vita privata, indagano sulla nostra personalità, sui nostri desideri, sulle nostre abitudini. Attratti e dipendenti da esse, veniamo apaticamente addomesticati e privati di libertà e spontaneità, in cambio di serenità illusoria e visibilità.

Cediamo inconsapevolmente ad esse parte della nostra umanità e personalità, che vengono ingoiate senza pietà come accadde alla vita e alla voce tristemente spezzata di Serafino Gubbio.

E forse oggi, la società tecno-liquida, dominata da macchine avanzate e pronte a sostituirci, sta rispondendo all’angosciante dubbio espresso da Serafino: “La macchinetta – anche questa macchinetta, come tante altre macchinette – girerà da sé.”

Ma che cosa poi farà l’uomo quando tutte le macchinette gireranno da sé, questo, caro signore, resta ancora da vedere.”

Giusy Mantarro