Omeopatia: tra scienza e menzogna

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La diagnosi di tumore è sempre una tragedia che sconvolge la quotidianità di un soggetto e di tutti coloro che gli stanno intorno, cambiando la prospettiva sulla vita e sul mondo.
È una malattia sociale, per così dire, che può condurre la persona in un profondo stato di prostrazione mentale e spingerla alla ricerca di medicine alternative che possano in qualche modo smentire o sovvertire la sentenza del medico curante.
Tra coloro che in buona fede si elevano ad araldi delle parascienze, c’è anche chi lucra sulla sofferenza dei disperati.
A svettare sulle pratiche non convenzionali troviamo la chiacchieratissima omeopatia, che da anni rimbalza da giornali a salotti televisivi, spaccando l’opinione pubblica in due fazioni agguerrite.
Ma cos’è esattamente?

Un po’ di storia

È un metodo basato sul principio per cui il rimedio a una malattia è la sostanza, diluita e agitata, che in una persona sana dia gli stessi sintomi della malattia in questione.
Hahnemann, il medico che teorizzò l’omeopatia, affermava che per curare la malaria servisse una pianta che se assunta provocava sintomi simili, ma senza febbre.
Caso volle che quella pianta fosse la Cinchona succirubra, da cui si estrae il chinino.
A quei tempi era l’unico rimedio a tale patologia, quindi effettivamente i pazienti guarivano, e l’uomo ritenne di aver compiuto una scoperta eccezionale.


Ad oggi nessuno è riuscito a dimostrare l’applicabilità degli studi di Hahnemann, tuttavia sono ancora molti coloro che voltano le spalle alla scienza, in una cieca adorazione dei vari “guru” che promettono cure miracolose.

Cosa dicono i dati?

Tra i tanti studi effettuati, in uno del 2007 vennero arruolati due gruppi di pazienti oncologici (tra essi il più simili possibile dal punto di vista della malattia per evitare di incorrere in errori), al fine di verificare se ci fosse o meno una correlazione tra l’omeopatia e il miglioramento della qualità della vita dei soggetti.
Un gruppo ricevette la terapia convenzionale, l’altro il trattamento omeopatico unito o meno a terapia convenzionale.
Alcuni pazienti in trattamento omeopatico rifiutarono la terapia convenzionale.
E’ da notare che coloro che si rivolgono all’omeopatia sono di solito più giovani e con uno stadio della malattia più avanzata e che hanno terminato i cicli di radio e chemioterapia.
L’obiettivo principale della ricerca era il miglioramento della qualità della vita dopo un anno, mentre gli obiettivi secondari erano la diminuzione dell’astenia, della depressione e l’aumento della soddisfazione del paziente.
Alla fine, lo studio riportò che i soggetti che avevano assunto il supplemento omeopatico mostravano un miglioramento della qualità della vita rispetto al gruppo di controllo, una diminuzione dell’astenia, ma nessuna variazione sulla progressione della malattia.

L’effetto placebo

Il funzionamento dell’omeopatia potrebbe essere spiegato con il ben noto effetto placebo.
Si tratta di un meccanismo per cui un soggetto che assume una molecola non attiva, migliora grazie al rilascio di sostanze endogene che agiscono sul sistema nervoso.
Importante per la buona riuscita di questa procedura è che il paziente sia convinto di assumere una medicina e soprattutto che l’operatore che la sta somministrando sia capace di infondere un totale senso di fiducia.
Ed è su questo che molti giocano la propria partita, spacciando come efficaci dei preparati così diluiti da non poter avere ormai alcun impatto sulla salute del soggetto.
I risultati ottenuti sull’omeopatia sono molto simili in tutti gli studi condotti fino a ora; ciò induce a pensare che non ci sia alcuna utilità terapeutica in queste molecole, ma soltanto un blando e momentaneo beneficio psicologico.
Il problema è, forse, che non sono state messe in atto adeguate campagne di informazione su larga scala al fine di istruire il pubblico e aiutarlo a riconoscere eventuali truffe o inganni, celati dietro la falsa promessa di rivelare segreti, che la medicina tradizionale non vorrebbe elargire.

Maria Elisa Nasso