Muffa alimentare: quando e perché avere paura

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La muffa alimentare sembra essere una delle grandi incognite del cibo, poiché quando ci imbattiamo in un alimento attaccato dalla muffa, ci ritroviamo ad affrontare l’amletico dubbio; ovvero se sia meglio togliere soltanto la parte andata a male e non sprecare la restante, o se buttarlo via per intero.

E se tenere l’alimento risultasse la scelta sbagliata, quali rischi correremmo per la nostra salute?
Non tutti gli alimenti sono uguali, per cui reagiscono differentemente se a contatto con la muffa. In ogni caso però, bisogna prestare molta attenzione, perché la muffa alimentare può rivelarsi altamente nociva.

Capiamo perché la muffa alimentare si sviluppa:

Questa compare in presenza di umidità eccessiva, che tende a decomporre l’alimento per poi trasformarlo. La pericolosità è data dalle micotossine e aflatossine, sostanze tossiche prodotte da specie fungine.

La muffa però, non si comporta allo stesso modo su tutti gli alimenti, e su alcuni risulta più pericolosa di altre.

Nel pane ad esempio, non basta grattare via solo la muffa, ma va gettato via tutto. Sotto la parte ammuffita si crea un fungo invisibile a occhio nudo che genera intossicazione e si colloca nella mollica assumendo un sapore dolciastro.

La stessa regola anche per la carne e la frutta a guscio, poiché in questi alimenti risulta essere molto cancerosa; ma per fortuna non è così per tutte le muffe, altrimenti qualsiasi formaggio erborinato o frutto leggermente avariato sarebbe un grave rischio per la salute.

Le muffe davvero pericolose sono formate da colonie di funghi Aspergillo Flavus o Aspergillo parasiticus, che producono le aflatossine, appunto, sostanze genotossiche e mutagene, considerate cancerogene per l’uomo in cui provoca il cancro al fegato.
Gli aspergilli si sviluppano soprattutto su cereali (in particolare mais), sui legumi (soia e fagioli), su semi oleaginosi,(arachidi), sulle spezie e solo quando gli alimenti sono conservati a temperature tra i 25 e i 32 gradi e con tassi di umidità dell’ambiente oltre 80%; per questo lo stoccaggio risulta la fase più critica, specie in Paesi caldo umidi.

Quali rischi corre concretamente la nostra salute?

Alcuni studi hanno messo in relazione la cancerogenicità delle aflatossine con la mutazione del gene p53, un importante oncosoppressore che, se mutato, priva la cellula di una fondamentale protezione contro il cancro.

Se assunte in grande quantità, come avviene in caso di intossicazione acuta (per fortuna rara), le aflatossine provocano emorragie del tratto gastroenterico e dei reni. Epidemie da aflatossine si sono verificate soprattutto in Africa ove non esistono adeguati sistemi di controllo delle coltivazioni e dello stoccaggio dei cereali.

Nel 1993 l’Agenzia Internazionale per Ricerca sul Cancro (IARC) di Lione ha classificato le aflatossine nel gruppo 1 delle sostanze sicuramente cancerogene per l’uomo. Oltre alle intossicazioni acute, le aflatossine possono “avvelenare” lentamente se assunte in basse dosi e per lunghi periodi. Inoltre sono particolarmente pericolose per quelle persone che soffrono già di malattie croniche del fegato.

I controlli non dipendono dai singoli, ma dai sistemi messi a punto dalle autorità per la sicurezza alimentare. Si tratta di sorvegliare i prodotti più a rischio dal campo fino alla tavola. Solo un serio controllo della filiera di coltivazione e produzione consente ai consumatori di essere certi di non correre rischi.
In fase di conservazione casalinga, è bene evitare di consumare prodotti a base di cereali (pane, torte) quando vi sono tracce di muffa, così come è opportuno rispettare le date di scadenza e le modalità di conservazione di frutta secca, noci e spezie.


La muffa però, non manca di un rovescio positivo della medaglia, poiché ve ne sono alcune molto utili, come la pennicillina, un antibiotico isolato da prodotti del metabolismo di alcune specie di Penicillium, e tutte le muffe “buone” che si utilizzano per produrre formaggi come gorgonzola (Penicillium glaucum), Brie (Penicillium candidum), ecc…
Se invece siamo di fronte ad un formaggio stagionato, dove la muffa non è la sua peculiarità, come il parmigiano, basterà rimuovere la parte ammuffita e continuare a mangiare tranquillamente il restante. Vale lo stesso per la frutta.


Se invece parliamo di marmellate, là dove si trova una piccola macchiolina di muffa nel barattolo, basterà asportare la parte che presenta la muffa, e il resto potrà essere mangiato tranquillamente, questo grazie al contenuto di zucchero, perciò occhio a quelle dietetiche, meglio gettarle per intero. Così come per i succhi di frutta, che una volta guasti non vanno ingeriti.

Una soluzione potrebbe sicuramente essere alla foce del problema, lavorando per il canto nostro sulla prevenzione. Per evitare di gettare cibo e sprecare inutilmente denaro, è buona cosa conservare in modo corretto gli alimenti all’interno dei contenitori appositi che mantengono inalterate le proprietà più a lungo; coprirli con pellicole alimentari o panni adatti e consumarli entro 5 giorni.

Giusi Villa