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Internet of Things, una connessione verso il futuro

Scienza & Salute
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Il futuro della tecnologia è questo: oggetti, città, nazioni intere sempre più interconnessi. 

È il 1982.  David Hasselhoff sorprende il pubblico statunitense, e non solo, alla guida di Kitt, una Pontiac Firebird Trans Am dotata di un’intelligenza artificiale che le permette di comunicare con il pilota. La serie tv Knight Rider, ribattezzata Supercar in Italia, diventerà un cult di quegli anni, forse proprio per il soggetto rivoluzionario e futuristico che presentava. 

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Oggi, 2018, a distanza di 36 anni, sentire di un’auto che parla non è più così eccezionale. L’assistente vocale è diventato uno degli optional più richiesti all’acquisto di un nuovo veicolo. Ci aiuta negli spostamenti, riporta le istruzioni del navigatore satellitare, legge i nostri messaggi, evita superflue distrazioni alla guida. Insomma, l’assistente vocale ha certamente migliorato la nostra esperienza di guida. 

Nell’ambito della tecnologia e delle telecomunicazioni il futuro è rappresentato dall’ IoT, Internet of Things (l’Internet degli oggetti). Il concetto è stato introdotto nel 1999 da Kevin Ashton, cofondatore di un consorzio di ricerca interno al Massachusetts Institute of Technology. Il campo di applicazione di IoT è vastissimo e spazia in vari ambiti, dalla domotica alla robotica, dall’industria automobilistica a quella biomedica e non solo. Si basa sul concetto di smart objects (oggetti intelligenti) ormai comunissimo e che ci viene proposto in decine e decine di pubblicità. L’idea di fondo è che in un mondo ormai dominato dal web, si possa utilizzare Internet per rendere più semplice ed efficiente l’utilizzo dei dispositivi d’uso quotidiano. Ognuno di essi infatti, può cambiare il proprio ruolo e diventare da passivo ad attivo, grazie ai dati che vengono raccolti dall’oggetto stesso e che, attraverso la rete, vengono aggregati ad altri già esistenti col fine di migliorare e semplificare la vita dell’utilizzatore. Pensiamo, ad esempio, ad una medicina che sia in grado di avvertirci nel momento in cui dobbiamo assumerla; una casa che, calcolando il traffico quando stiamo uscendo da lavoro, si riscaldi nel momento giusto evitando inutili sprechi economici; una bici che ci consigli le strade meno inquinate da percorrere ecc.

Alcune stime prevedono che già nel 2020 il numero dei devices connessi a livello globale supererà i 20 miliardi, in uno scenario in cui il mondo elettronico traccerà quello reale scambiando un’infinita quantità di dati ogni secondo. 

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Ovviamente alla base di questo processo ci sono delle tecnologie che hanno visto un rapido sviluppo negli ultimi anni e che sono alla base dell’IoT. Di fondamentale importanza sono state certamente le reti wireless che, dalla loro nascita nel 1999 ad oggi, hanno di certo semplificato il concetto di connessione. Negli anni si sono susseguiti numerosi standard legati alle reti, sino all’802, creato dall’IEEE (Institute of Electrical and Electronics Engineers), che ha fornito gli strumenti e le tecnologie adatte al supporto dell’IoT. Nel concetto evolutivo che ha portato alla nascita dell’IoT non possiamo non nominare i DBMS (DataBase Management Systems), che ci hanno permesso di passare dalla raccolta manuale dei dati ad un nuovo mondo in cui le macchine sono pronte a schedare e manipolare ogni tipo di informazione. In particolare la svolta è arrivata con le basi di dati di tipo NoSQL, che superano i limiti del linguaggio SQL (Structured Query Language) e permettono di districarsi in una vasta quantità di dati.

Anche il mondo accademico si allena per essere al passo coi tempi, tant’è che sempre più opportunità di corsi e di lezioni sull’argomento IoT vengono fornite sia dalle Università che dalle società private di formazione. È il caso dell’Università degli Studi di Udine che dal 2017 fornisce tra le proprie scelte un corso di laurea triennale ad hoc in “Internet of things, big data and web“. L’Università degli studi di Messina, invece, oltre a proporre un corso di laurea magistrale in “Engineering and Computer Science”, e numerosi altri corsi rivolti a studenti laureandi e/o laureati, ha creato SmartME, un progetto nato nei laboratori MDS dell’ateneo peloritano attraverso il crowdfunding. Il progetto si propone di realizzare, col supporto dell’amministrazione locale, un ecosistema messinese  basato sul paradigma dell’IoT. Attualmente è attiva una rete di sensori su tutto il territorio comunale che permette a chiunque di monitorare vari parametri, quali pressione, temperatura, umidità, rumore e luminosità. 

Con lo sviluppo di questo nuovo paradigma crescono le preoccupazioni per quanto riguarda gli aspetti legati alla privacy e sicurezza. Come conseguenza, anche l’ambito della cyber security si sta innovando giorno dopo giorno per supportare  adeguatamente questo nuovo tipo di sistemi.

 

 

Ivan Brancati