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“ADA – architetturadesignarte” lo studio più di uno studio di Gianmarco Spadaro.

Universome Redazione
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Arte & Cultura Pop

Gianmarco Spadaro ci accoglie nel suo studio “ADA” un locale luminoso, accogliente e pieno delle sue creazioni.
È un ragazzo alto, ha una montatura degli occhiali grande che a prima vista ti da l’idea di una persona molto razionale. Lo è ma è anche un ragazzo laureato in architettura con idee innovative, che dipinge e che ha voluto mettersi in gioco aprendo il suo studio “ADA” e con la quale ho avuto una dei più piacevoli dialoghi sull’arte, il design e le sfide della nostra generazione in questo paese.
Ecco a voi l’intervista svoltasi in un caldo pomeriggio di maggio fra taralli e vino rosso.

 

Raccontami un po’ il percorso di studi e come sei arrivato alla decisione di aprire uno studio subito dopo la laurea.

Mi sono laureato a Reggio a dicembre. La libera professione è il mio punto di arrivo, ho deciso di iniziare da qui cercando di legare più ambiti sia l’architettura perché comunque ho fatto un percorso di 5 anni sia la mia passione per l’arte perché ormai è da 7 anni che mi diletto con l’arte. Secondo me la giusta collocazione fra architettura ed arte si trova nel design.
Per cui il concetto artistico unito ai miei studi mi porta a realizzare oggetti di design che poi vado a presentare, da catalogo ecco.
Lo studio privato è un trampolino di lancio perché secondo me è molto difficile. È una scelta molto forte secondo me aprire il mio studio sin da subito che però sono convinto che mi farà, e sta, facendo crescere molto. Ho comunque collaborato in degli studi di architettura quindi un po’ la base me la sono fatta.

A Messina?
Sì, qui ho collaborato in alcuni studi. Poi a livello universitario ho avuto la possibilità di fare due workshop uno ad Hong Kong e uno a Città del Messico di 10 giorni ciascuno. Per cui mi sono confrontato con realtà sia nazionali, come lo IUAV, sia con le università del posto. Per cui ho visto metodi di approccio totalmente diversi e anche gli studi. Hanno un livello progettuale totalmente diverso dal nostro, cioè ad esempio lo IUAV predilige l’estetica tralasciando quella che è poi l’effettiva realizzabilità del progetto.
Mentre se posso difendere la mia università io credo che da noi ci sia una preparazione più completa. Cioè tu pensi all’estetica, pensi ad un qualcosa che dia un messaggio ma coniugandola con la parte ingegneristica.

Certo una cosa non esclude l’altra…

Sì se tu hai una base, un minimo di conoscenza ti puoi anche confrontare e non lasci tutto quanto a progettuali esterni che poi cambiano il progetto per necessità.

ADA quando l’hai aperto? Hai fatto una mostra vero?

Ho aperto a marzo. Si la prima mostra era legata all’inaugurazione ed il tema della alessitimia e ho realizzato questa serie di maschere che andavano a coprire questa serie di volti anonimi bianchi.
La alessitimia è l’incapacità di esprimere i sentimenti con le parole per cui mi sono voluto come autoritratto dietro le maschere essendo io l’alessitimico che in quanto artista va poi a trasmettere i sentimenti attraverso queste maschere che indossa giornalmente.

Che materiali hai usato?

Sono quattro maschere create col metodo del collage quindi c’è un inchiostro di base e queste maschere applicate sopra e poi c’erano due maschere grandi che erano una sorta di bassorilievo perché poi uscivano dal supporto e queste qua invece erano una in gesso e l’altra in resina.
Quella in gesso è la madre da cui sono nate le altre piccole e poi ho fatto un calco poi per quella in resina.

Dopo questa mostra e un altro periodo di studi sono giunta alle forme che si vedono nell’ultima mostra che ha avuto come tema la “dissociazione”.
Dissociazione intesa come, e anche qui secondo me ho lanciato un messaggio critico e forte verso l’arte, ho deciso di dissociare dalla tela, il supporto artistico per eccellenza, l’arte stessa che fuoriesce dal quadro.
Il quadro è dipinto su questi pannelli di policarbonato.

Quale potrebbe essere il “manifesto” di questa serie?

Quello in cui ho utilizzato le pennellate nere secche che contrastano col bianco di sfondo.

Però in tutti ritorna il blu…

È vero. La scelta dei colori è quasi innata. Mi metto davanti la tela e stabilisco quelli che cromaticamente si accostano meglio ma che soprattutto possano esprimere meglio quello che è il messaggio che voglio dare.
Ho usato anche la tecnica del dripping, dove c’è sì una scelta dietro ogni linea ma caotica. Regna il caos.
In alcuni c’è più calma nella pennellata in altri mi sono affidato più al caos.

Un giovane Pollock. Lì noto un po’ di futurismo però.
Si qui ho rappresentato una prospettiva di un corridoio. Mentre i quadri più piccoli sono pura sperimentazione. Dal policarbonato al plexiglass.

 

 

[Giulia mi chiede se può fare una domanda e che fai le dici di no?]

Ogni striscia ha uno studio dietro ma nel momento in cui tu ti immagini di dare lo schizzo in un modo ma tende poi in modo diverso da quello che volevi. Come fai? Come rimedi?
Questi non sono veri e propri veri schizzi se ci fai caso. Io parto con un pennello dalla testa fine, lo immergo nello smalto e poi effettuo un percorso quasi inconscio che nella mia testa visualizzo. Per quanto riguardo lo schizzo quello è incontrollabile. Forse in quelli viola c’è casualità. Però lì subentra il fatto che bisogna regolarsi un minimo.

 

[Per tutta la durata della conversazione in fondo c’è la stampante 3D che è in funzione e sta creando qualcosa. È doverosa la domanda.]

E la stampante 3D la usi solo per la creazione delle miniature dei progetti o anche per altro? Hai già creato altro oltre questa tazzina fighissima qui davanti?
La stampante è stata utilizzata per alcune opere. Per la mostra Alessitimia infatti ho realizzato, modellando prima al computer e poi stampato questi volti (mi mostra un manufatto con una testa bianca molto squadrata i cui due lati della faccia sono messi uno più avanti dell’altro). Parto da un volto di base definito e tutte queste sfaccettature sono dovute all’abbattimento di quelli che sono i poligoni del modello 3D, per cui così facendo da questo effetto più moderno, meno definito come un volto umano.

 

Secondo me il tuo approccio è molto intelligente, sei come una spugna che assorbe tutto e poi applica ciò che apprende. Diversi utilizzi dei mezzi come la stampante 3D.
È una scelta che forse è dovuta al tempo che viviamo e le conseguenze che ha anche sull’arte e l’artista. L’utilizzo pratico degli oggetti di design, la fruibilità dell’arte. Complimenti.

 

Senti ma hai qualche punto di riferimento come designer, architetti, artisti sia italiani che stranieri?

È una bella domanda. Architettura ne ho studiata tanta, chi mi è rimasto impresso, storicamente, l’architetto che più mi ha segnato ed influenzando è Ludwig Mies van der Rohe.
Per me lui è l’architetto per eccellenza, diceva che il meno è più e lo applicava a molti dei suoi progetti. Riusciva a trasformare in architettura quattro pareti slittate l’una dall’altra.
Anche per i materiali che utilizzava.
Come designer seguo moltissimo i designer indipendenti italiano. Sono stato recentemente al Salone del mobile e ho frequentato più il Fuori salone che il Salone stesso. Perché comunque lì hai la possibilità di confrontarti a livello umano coi designer, scambiare idee ed opinioni.
A livello artistico seguo moltissimo il panorama contemporaneo, anche artisti non conosciutissimi ma che stanno muovendo molto come Matty Mo (“The Most Famous Artist”) il quale ha fatto studi incredibili dietro questo nome, come i social influiscono sull’arte contemporanea.


Cosa hai in serbo per il futuro?
Ho in serbo la presentazione di un progetto di design su cui sto lavorando, fra cui il tavolo che ti ho mostrato prima che è già pronto. Sto lavorando agli oggetti di accompagnamento.
Conto di fare questa presentazione nelle prossime settimane.
Poi vorrei che questo studio diventasse un punto di riferimento anche per quelli che sono i giovani artisti, i designer, venire qui confrontarsi. Sto iniziando a conoscere questi ragazzi che qui non sono conosciuti ma solo perché sono una minoranza cittadina.


Ma secondo te tramite i social non si può fare pubblicità?
Sono convinto fermamente di si ma solo se uno li sa usare. Ad esempio io sono un po’ incapace o meglio non ho voglia, va troppo veloce. Ci sono delle dinamiche, troppo. Ora ho capito l’utilità ed essenzialità dei social media manager.

Una domanda frivola che non so nemmeno se c’entri molto con quello detto fino ad ora: tu ascolti musica quando lavori? Ti influenza?

Sì ed influenza tantissimo. Ascolto principalmente quando lavoro l’elettronica, un elettronico strano, di ambienti, suoni forti.

 

 Lettori, popolo messinese andate a visitare ADA e scoprire il mondo di Gianmarco. Vi incanterà. Luoghi come questo sono come sorgenti di acqua nel semi deserto cittadino ne sarete felici ed uscirete da lì con l’anima soddisfatta e magari un pezzo di design o un quadro di un artista vero.

intervista Arianna De Arcangelis

ph Giulia Greco