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MEry(Lo) did you know? Globulo rosso vettore, non solo di O2

Universome Redazione
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Attualità

Non è il nome dell’ultima pop star nipponica, contrariamente a quanto si potrebbe pensare. L’acronimo sta per Micro Erythrocyte Loading e, com’è facilmente intuibile, indica un dispositivo innovativo progettato per rendere gli eritrociti, oltre che vettori di O2 ( è questa la loro funzione principale), anche di altre sostanze – principalmente farmaci.

Da dove è saltata fuori questa idea?

E’ tutta nostrana ed al femminile – c’è ancora bisogno di fare le “vittime” di una società pensata al maschile…?!

Il progetto iniziale risale a 8 anni fa, durante l’attività di ricerca portata avanti da Giustina Casagrande nel Laboratorio di meccanica delle strutture biologiche.

Ci si stava soffermando molto sullo studio dell’emoglobina. Questa proteina viene spesso definita come “porzione nobile” del globulo rosso, proprio perché ha la possibilità di legare l’ossigeno e quindi consentire allo stesso di poter assolvere alla sua funzione: ossigenare, attraverso il sangue, tutti i tessuti del nostro organismo.

A partire da questo dato ben consolidato, ecco la novità!

Studiare il transito dell’emoglobina attraverso la membrana degli eritrociti ha portato la Casagrande all’attraente pensiero di poter sfruttare l’eritrocita come drug-carrier, in altre parole come un trasportatore di farmaci. Così anche grazie all’aiuto di altre due ricercatrici, Elena Bianchi e Monica Piergiovanni, è stato possibile realizzare e validare in laboratorio i primi prototipi per caricare le cellule della serie rossa, sfruttando i principi della meccanica dei micro-fluidi. Vengono sfruttate delle cartucce monouso, poco invasive che limitano il contatto tra il sangue e l’ambiente esterno, condizione che di per sé è causa di contaminazioni ed infezioni. Al momento, il prototipo da laboratorio consente di trattare solo piccole quantità di sangue con un efficienza del 80%. Ci sono dunque tutte le carte in regola affinché il dispositivo possa essere impiegato nella comune pratica medica.

MEryLo, inoltre, è risultata vincitrice di una competition promossa dalla Regione Lombardia finalizzata a sostenere start-up tecnologiche, aggiudicandosi il secondo posto nel settore di Life Science & Agrofood. Un risultato importante che sì, afferma l’originalità ed il valore dei ricercatori nei nostri ambienti universitari e non, ma anche un buon trampolino di lancio per passare dal laboratorio al mercato.

Nonostante si possano già prevedere numerosi ambiti d’applicazione dell’innovativo dispositivo, le tre ricercatrici sono decise di concentrarsi dapprima sul possibile impiego di MEryLo nel trattamento della leucemia. Soprattutto per due motivi: “Il primo– spiega la Casagrande- sta nel fatto che per le cure attuali si utilizzano farmaci con molti effetti collaterali, che noi miriamo a ridurre mimetizzando parte del farmaco nei globuli rossi. Il secondo è legato al fatto che in altri contesti oncologici c’è un nemico ben localizzato, spesso anche chirurgicamente o con la radioterapia mirata; mentre la leucemia pervade tutto il sistema vascolare, dove sono presenti proprio in grande quantità i globuli rossi in cui il farmaco è caricato”.

Continua quindi la ricerca e lo studio, ma già MEryLo, come dispositivo compatto, consente di poter figurare una quantomai possibile chemioterapia senza effetti collaterali. Nell’oncologia, in particolare, la medicina personalizzata rappresenta la nuova frontiera con lo scopo specifico di ridurre al massimo i rischi legati alle pratiche di sovra-dosaggio. Poter sfruttare cellule endogene, ovvero appartenenti all’organismo stesso del malato, come vettori di cocktail farmaceutici specifici per ciascun quadro clinico, potrà portare ad un rilascio prolungato nel corpo, consentendo così di poter diminuire la frequenza delle sedute.

Per questo MEryLo rappresenta un mezzo assolutamente innovativo perché capace di intrappolare sostanze d’elezione nel globulo rosso preservandone al contempo l’integrità della membrana cellulare e consentendo così di portare le lunghe e rischiose pratiche di laboratorio direttamente al letto del paziente.

Ivana Bringheli