Agostino Scilla, pittore e scienziato: da “La vana speculazione” alla Luna.

Universome Redazione
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Cultura Locale

Messinesi (e non), a rapporto!
Chi di voi è mai stato al Museo Regionale di Messina, avrà sicuramente notato, tra le molteplici e meravigliose opere pittoriche, alcuni dipinti rinascimentali di facile interpretazione a livello superficiale, ma che si propongono di rappresentare qualcosa di più complesso: l’intreccio tra il potere retorico del linguaggio visivo e gli studi empirici su reperti oggettuali.
Tra questi: “Ester e Assuero”, “Rebecca al pozzo”, “Sant’Ilarione tra le braccia della morte” e “San Benedetto che distrugge gli idoli”, nati da mani messinesi, quelle di Agostino Scilla.

Il nostro pittore, nasce a Messina il 10 agosto del 1629, impegnandosi, dapprima, in studi letterari e successivamente alla pittura, per poi trasferirsi, all’età di 17 anni, a Roma e divenire allievo di Andrea Sacchi, con il quale si dedicherà all’arte rinascimentale.
Nel 1651, fa ritorno a Messina; qui entrerà a far parte dell’Accademia della Fucina e lavorerà per il principe Ruffo, per il quale dipinse le tele sopra citate.
L’attività siciliana è caratterizzata da numerosi spostamenti, grazie ai quali Scilla matura l’interesse per i fossili e intraprende studi numismatici che lo porteranno alla pubblicazione, nel 1670, de “La vana speculazione disingannata dal senso”, prima opera a stampo scientifico nella quale sono presenti due aspetti caratterizzanti la produzione dell’autore.
Dalla sola analisi del titolo, infatti, si evince lo scetticismo filosofico dell’autore, convinto che la scienza debba raccontare la natura così come viene percepita dai nostri sensi, a scopo di rivendicare il sapere visivo nell’attività scientifica. Non a caso, Scilla unisce studi storico-artistici e geologici, dando vita a produzioni pittoriche e scientifiche complementari che sottolineano l’importanza della vista acuta del pittore, nell’attenta esaminazione dei fossili.
Da qui, l’opera venne inserita nel contesto del dibattito europeo sulla storia della terra, in riferimento al suo tema centrale: l’ipotesi di una vera e propria origine organica dei fossili; secondo Scilla, questi, sono stati veri e propri animali e divenuti, soltanto in seguito, sostanza sassea.
Dopo aver, ipoteticamente, allungato la cronologia terrestre rispetto alla storia dell’uomo, ed in seguito al fallimento della rivolta antispagnola a Messina, Scilla si muove nel territorio francese e piemontese, fino a stabilirsi a Roma, dove entrò a far parte dell’Accademia di San Luca, di cui ne divenne reggente fino al 1685. Solo dieci anni dopo, il teologo inglese Wotton, presentò una sintesi de “La vana speculazione” alla Royal Society, contribuendo così alla sua diffusione europea e alla traduzione in inglese e latino.
Passando in modo agiato gli ultimi anni, Scilla si spense a Roma, nel 1700.

Molte delle sue opere, andarono perse così come le chiese che le ospitavano, in seguito al terremoto che colpì Messina nel 1908, mentre altre, vengono vantate dal Duomo di Siracusa, dalla Galleria regionale di Palermo e dalla Reggia di Venaria Reale.
Ad oggi, come omaggio al nostro Scilla, è stato dedicato un Dorsum sulla luna: il Dorsum Scilla.

Erika Santoddì