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Messina nelle parole di Giovanni Boccaccio

Universome Redazione
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Cultura Locale
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Non ci sono testimonianze scritte del passaggio da Messina di Giovanni Boccaccio, ma le tracce che l’autore lasciò dedicate o riferite alla città dello Stretto, fanno supporre alla fantasia che, almeno una volta nella vita, Boccaccio abbia conosciuto la realtà cittadina messinese.
I lasciti boccacceschi inerenti a Messina sono due, uno meno famoso dell’altro ma, comunque, assolutamente indicativi.
Siamo nella metà del 1300 e Giovanni Boccaccio, toscano di Certaldo, borgo appartenente, oggi, alla provincia di Firenze, era figlio di un mercante, il quale, lo portò con sé sin dalla tenera età, momento, a partire dal quale, il piccolo Giovanni ebbe modo di conoscere quasi tutti i principali porti mercantili italiani.
Queste esperienze gli torneranno utilissime quando, tra gli anni ’40 e ’50 del 1300, l’autore scriverà il Decameron, una raccolta di novelle che costituisce, per la Storia, il primo modello di “romanzo” della borghesia (che all’epoca era una classe nascente seppur non ancora esistente) e rappresenta l’unica opera linguisticamente “poliglotta” (data la presenza di numerosi dialetti diversi).
Tra le tante storie, spicca quella di “Lisabetta da Messina”, ambientata in una città dello Stretto che, all’epoca, era un centro mercantile che riuniva diverse comunità di naviganti-mercanti: in quella Messina si trovavano tutti gli avventurieri e i commercianti figli delle tante Repubbliche Marinare (sarà una costante sino a quasi tutto il 1500, come abbiamo trattato in precedenza, nel caso di Scipione Cigala) e, tra questi, di origine pisana, vi era anche la famiglia di Lisabetta.
La storia è caratterizzata da un amore osteggiato, sofferto e terminato in tragedia (e queste potrebbero essere già le sfumature di una moderna commedia siciliana), con Lisabetta che, in sogno, ritrova l’innamorato scoparso, il quale le rivela di essere stato ucciso dai fratelli di lei che, dopo, lo hanno seppellito in un bosco. La ragazza si reca sul luogo del delitto, riesuma il corpo dell’amato e ne mozza la testa che conserva in un vaso di basilico sul quale piangerà per giorni e giorni. Quando i fratelli scoprono il motivo dello strano comportamento della fanciulla e sradicano la pianta dal vaso, trovando così l’infelice contenuto, lasciano la città per paura di sfuggevoli pettegolezzi.
Di quella Messina, inutile dirlo, non rimane più nessuna testimonianza; sembra, piuttosto, una città diversissima da quella odierna, i cui fervori mercantili e cosmopoliti non animano più il quotidiano messinese e neppure ci son più comunità mercantili straniere che nella città esprimono il proprio benessere e la propria ricchezza con opere monumentali. Una di queste tracce, però, è costituita dalla Chiesa dell’Annunziata  dei Catalani, l’unica testimonianza di una Messina che vantava un ricco ed eterogeneo tessuto cittadino, in cui le varie comunità mercantili, riunitesi in confraternite, esprimevano orgogliosamente i propri simboli attraverso opere e ad architettura.
Altro lascito di Giovanni Boccaccio a Messina è una ricostruzione etimologica “artificiale” sulla toponomastica del termine “Faro di Messina”, che era il termine con il quale all’epoca si designava lo Stretto di Messina.
Come ha ben dimostrato Alessandro De Angelis, Professore presso il nostro Ateneo, Giovanni Boccaccio, in una nota della Commedia di Dante Alighieri, specifica che: “(…) Tra Messina in Cicilia e una punta di Calavria, ch’è di rincontro ad essa, chiamata Capo di Volpe, non guari lontana ad una terra chiamata Catona e a Reggio, è uno stretto di mare pericolosissimo, il quale non ha di largo oltre a tre miglia, chiamato il Fare di Messina. E dicesi “Fare” da “pharos”, che tanto suona in latino quanto “divisione”, perché molti antichi credono che già l’isola di Cicilia fosse congiunta con Italia e poi per tremuoti si separasse il monte chiamato Peloro di Cicilia dal monte Appennino, il quale, è in Italia, e con quella, che era terraferma, si facesse isola”.
Non ci sono prove che questo estratto possa valere come testimonianza di un passaggio di Boccaccio da Messina, ma è più probabile considerare che l’autore, nell’elaborazione di questa etimologia “artificiale”, abbia consultato i trattati scientifici dell’epoca, i quali sostenevano all’unanimità la tesi della separazione della Sicilia dal continente italico in seguito a terremoti avvenuti in epoche arcaiche.
Rimane, tuttavia, un prestigioso lascito da parte di un grande esponente della Letteratura Italiana alla nostra città, la quale non ricorda o non si impegna nel celebrare quelle virtù che il suo grande passato le ha attribuito.

Francesco Tamburello

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