Polaroid, un tuffo nel vecchio presente

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Chiunque nell’ultimo periodo ha avuto la possibilità di imbattersi in campagne pubblicitarie, social network o muri di camerette letteralmente invasi da polaroid: un evidente contrasto con la cultura ormai tutta digitale della fotografia, quella composta da giga e giga di archivi e album sui nostri smartphone; un ritorno ad una tecnologia ormai considerata del tutto superata e scomoda; un ritorno al passato.
Perché delle polaroid a noi, definiti millennials, è solo giunto un racconto impregnato di romanticismo e nostalgia legato ai racconti dei nostri genitori.
Del resto nemmeno la Polaroid ci aveva creduto più: aveva dismesso la produzione delle pellicole decretando definitivamente la morte della fotografia istantanea, credendo che nel nostro mondo non ci fosse più posto per ingombranti macchine plasticose e stampe fisiche.
Un gruppo di imprenditori del settore ( o di ultimi romantici ), però, ha ritenuto che quel riquadro bianco 9×9 avesse ancora qualcosa da dire: con l’acquisto di stabilimento e di macchinette, ormai uniche al mondo, ha dato un nuovo ”via” alla produzione di queste pellicole.
Così, con sagge operazioni pubblicitarie, i nuovi imprenditori della fotografia del passato, sono riusciti a far tirare fuori dalle soffitte le vecchie macchine di genitori o di zii, permettendo ai giovani dalle mani abili nel digitale, di impugnare un mondo che sembrava superato. Un mondo in cui gli istanti vengono catturati con tutti i loro difetti, su cui non si può agire con Photoshop. Istanti imbrigliati da una pellicola che li imprigiona e li pietrifica in un piccolo riquadro, una finestra a cui si sporge la nostra mente per percepire tutte quelle sensazioni che scaturiscono da un ricordo.

Ma cosa ha contribuito alla diffusione così estesa di questa tecnica fotografica?
Il primo motivo potrebbe essere l’hipsterismo, o meglio, la corrente che ha permesso di sdoganare questa realtà.  L’ ”hipster” e il suo amore per le velleità fortemente anticonformiste sono il consumatore perfetto per questa nuova/vecchia tecnica di fare le foto. Segue poi la condivisione sui social con frasi criptiche e il vanto della nuova passione folle verso la fotografia. Questo ”esemplare” esaurisce, di solito, il suo fanatismo dopo un numero più o meno ampio di post e likes sui social.

Grazie a questa cultura di massa, però, le polaroid sono state rispolverate, riscoperte anche da chi (fortunatamente) va oltre questa nuova corrente di una subcultura alternativa.
Qualcuno, infatti, ha cominciato a usare la polaroid perché ha riscoperto davvero la bellezza nello scatto di un attimo, così com’è, senza inganni. Per questo ci piacciono così tanto. Perché è istantanea, senza filtri da applicare. E la cosa che più ha decretato il loro successo, a mio avviso, è la totale imprevedibilità dello sviluppo, perché in base alla luce o alla temperatura esterna, nelle foto si può assistere a strabilianti giochi di luce che vestono il nostro soggetto (o talvolta di avere una foto totalmente bianca con annessa imprecazione). E’ appunto in quest’ultimo odioso caso che sopraggiunge l’unico ”difetto”: scattare ha un prezzo monetario che va da 1 a 2.50 euro a fotogramma.
In parte è anche questo, però, a rendere l’esperienza di uno scatto con la polaroid unica; tutte queste variabili a cui non siamo abituati con i nostri smartphone e i loro megapixel infiniti.
Premere quel bottone su quella scatola in plastica significa dare il via ad un’avventura che si dipana fra le attese interminabili, solo alcuni minuti, in cui la foto viene sputata fuori ed inizia a far emergere tratteggiate le prime sagome e i primi colori. Il momento dello sviluppo, composto da questa apprensione, che ormai non ci appartiene, in cui vediamo nascere dal nero ciò che desideravamo imprimere in quel riquadro, è un intervallo seducente.
La polaroid non è quindi il semplice riscoprire l’amore per la fotografia, è ricordare e rivivere l’importanza degli attimi che persistono nel tempo, senza filtri.

Fernando Corinto