La Grande Partita: scacchi, psicopatici e comunisti.

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Una sera, un bambino di nome Bobby Fischer non riesce a dormire a causa del trambusto causato da una festa in casa organizzata dalla madre.
Nel vano tentativo di prendere sonno, il bambino fissa di fronte a sé una scacchiera e decide di ingannare il tempo provando a giocare. Passato un po’ di tempo da quel giorno la madre di Bobby, vista la curiosità sviluppata dal bambino, trasformatasi in passione a tal punto che “da quando ha cominciato a giocare, non ha mai perso neanche una partita”, decide di portarlo da un insegnante per capire se questa semplice passione non sia talento, ma proprio nel “test” per capire il suo livello, Bobby perde.
Questo lo spronerà a migliorare ancora di più sotto la guida del maestro, fino ad arrivare al punto di poter partecipare agevolmente a tornei internazionali e diventare in breve tempo un avversario temibile alla sola età di dodici anni.
Tuttavia insieme alla bravura cresce esponenzialmente anche l’arroganza di Fischer, diventando sempre più scontroso e irritabile, convinto di una sola cosa: diventare il più giovane campione del mondo di scacchi.
Decisione importante che porta Bobby a porre il gioco al centro di tutto, rendendola la sua ragione di vita. Il giovane prodigio cresce e con lui anche la sua abilità nel gioco, ma assieme ad essa altre responsabilità di carattere politico che cadono, sovente, sulle sue spalle.
Infatti ci si trova in piena Guerra Fredda e i russi si dimostrano essere padroni del gioco, cercando di far vertere la guerra sullo scontro dell’intelletto, per cui Bobby, ovviamente americano, gioca un ruolo molto importante, cominciando a ricevere una sorta di sostegno anche da chi di scacchi non ne capisce, dando adito, così, alla concezione di Fischer che egli stia aiutando in qualche modo la sua nazione e che, prevedibilmente, gliene sia debitrice.
Bobby sviluppa una natura particolare, fomentando la sua arroganza e disintegrando progressivamente quel briciolo di “umanità” che gli è rimasta, senza dimenticare la sua psiche che si deteriora sempre più. Il cocktail appena presentato creerà non pochi problemi, ma Fischer continuerà ad essere determinato ogni giorno di più. Battere Spassky ed essere campione del mondo è l’unica via.
Sempre che i comunisti non lo intralcino…

“Pawn Sacrifice” (La Grande Partita) è diretto da Edward Zwick. Film del 2014 narra la vita particolare dello scacchista Bobby Fischer, interpretato da Tobey Maguire (Spider-Man, Il Grande Gastby), e di quella che venne definita “la partita del secolo” contro l’allora campione del mondo Boris Spassky, interpretato da Liev Schreiber (Il Caso Spotlight, Ray Donovan).
La pellicola, che da subito mette in chiaro di non volere essere un blockbuster, trova un buon lavoro di regia, ma viene accompagnata da un andamento assolutamente discendente con pochi climax e una linea guida a volte boriosa.
Bobby Fisher era sicuramente un talentuoso scacchista ma un vero e proprio psicopatico e il lungometraggio si concentra prevalentemente su questo aspetto. Inoltre rimarca il clima della Guerra Fredda con la sensazione di avere costantemente attorno spie (comuniste o americane che siano) contornata dall’estenuante lotta e dimostrazione di superiorità.
Tuttavia, nonostante Fischer sia ovviamente un personaggio importante della storia del gioco degli scacchi, a livello cinematografico risulta essere l’ennesimo individuo folle con problemi psicologici che, malgrado tutto, è obbligatorio considerarlo come un genio e quasi eroe. Ma il cinema, di questi, è pieno.
Vi è da precisare che con ciò non si vuole andare a denigrare la figura di Fischer che, anzi, può essere sfruttata come spunto per sensibilizzare su determinati temi.
Complessivamente “La Grande Partita” si definisce un buon film con la mancata spinta giusta per potersi differenziale, ma che vale comunque la pena di vedere.

                                                                                                                                                            Giuseppe Maimone