Musica, Maestro! Breve passeggiata storica e musicale fino al teatro Vittorio Emanuele di Messina

Universome Redazione
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Cultura Locale
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L’argomento della storia della musica messinese, particolarmente caro agli storici locali, non è altrettanto caro al grande pubblico: i nomi dei compositori messinesi sembrano essere stati totalmente cancellati dalla memoria collettiva, le loro musiche paiono quasi bandite dai programmi di concerti ed eventi culturali, e forse non è un caso se l’attuale Conservatorio di Messina è intitolato ad Arcangelo Corelli, grandissimo violinista e compositore settecentesco, che, ciò nondimeno, con Messina e la sua storia musicale ha ben poco a che spartire…

Eppure pare che negli scorsi secoli Messina sia stata una città di primissimo piano nel panorama musicale siciliano e nazionale. Nel suo periodo d’oro, che culmina nel XVII sec. per concludersi con la tragica parentesi della rivolta antispagnola del 1674-1678, la produzione musicale a Messina era fiorente e riguardava prevalentemente musica sacra e strumentale: la Cappella Senatoria del Duomo di Messina era seconda per prestigio solo a quella di Palermo, e vide l’operato di musicisti come Bernardo Storace, Michelangelo Falvetti, Giovanni Antonio Pandolfi Mealli e Vincenzo Tozzi, tutti nomi assolutamente ignoti ai più ma che (soprattutto i primi due) di recente iniziano ad essere oggetto di un rinnovato interesse da parte degli addetti ai lavori e degli esecutori di musica antica.

 

Meno si sa invece per quanto riguarda la musica teatrale: le già scarse notizie riguardanti il ‘600 diventano ancora più sparute per quel che riguarda il ‘700, anche se già da tempo è documentata in città la presenza di un teatro regio, il cosiddetto Teatro della Munizione, così chiamato perché ricavato a partire da un deposito di armi e munizioni nei pressi della via omonima, nel centro della città. È invece nel secolo successivo, con lo svilupparsi e il diffondersi del genere dell’Opera lirica, che si sentì il bisogno di dotare la città di un teatro nuovo e più grande: il vecchio Teatro della Munizione, infatti, secondo le testimonianze del La Farina, scrittore e letterato locale, era ormai decisamente attempato, e non più adatto alle esigenze dell’epoca. In quel periodo, oltretutto, Messina aveva visto la nascita di diversi compositori di opera lirica, fra i quali il più celebre è indubbiamente Antonio Laudamo, a cui oggi è intitolata l’omonima Filarmonica; diversi di loro però, come il meno conosciuto Mario Aspa, autore di diverse opere, o il provinciale Placido Mandanici, originario di Barcellona Pozzo di Gotto, preferivano lasciare la città per fare successo e far eseguire le proprie opere in teatri più grandi e famosi, come il Fondo e il San Carlo di Napoli, o la Scala di Milano.

A Messina, insomma, la mancanza di un teatro al passo coi tempi impediva lo sviluppo di una scena musicale attiva e vivace, tanto che, all’epoca, era diffusa l’opinione secondo la quale i messinesi non avessero gusto per il teatro: luogo comune contro il quale si trovò a polemizzare prima, nel 1836, il pubblicista messinese Carlo Gemelli e in seguito, nel 1840, lo stesso La Farina.
Fu anche per questo motivo che, dietro ordine regio, si decise di edificare un nuovo teatro per la città di Messina, teatro che sarebbe sorto al posto di una prigione sita sulla centrale via Ferdinanda, oggi via Garibaldi, e il cui progetto fu affidato al napoletano Pietro Valente e al messinese Carlo Falconieri. I lavori, iniziati nel 1842, diedero vita al teatro “Santa Elisabetta”, che, inaugurato nel 1852 con l’esecuzione di una opera del Laudamo, sarà poi rinominato dopo l’Unità d’Italia, col nome che porta tutt’oggi: “Vittorio Emanuele II”.

 

Ai giorni nostri il teatro, rimasto quasi illeso dopo il terremoto del 1908 ma ampiamente danneggiato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e smantellato negli anni ’50, è stato ricostruito interamente: la facciata, abbastanza fedele al progetto ottocentesco, è arricchita da fregi e bassorilievi rappresentanti effigi di musicisti e drammaturghi celebri e scene mitologiche, opera di Saro Zagari, ed è sormontata da un gruppo marmoreo allegorico, scolpito dallo stesso autore: rappresenta il Tempo, alato e con la clessidra in mano, che disvela la Verità, a sinistra, mostrandola alla città di Messina, personificata nella figura a destra. L’interno invece, completamente moderno nella struttura, è adornato, sulla volta, da un celeberrimo dipinto raffigurante la leggenda di Colapesce, opera di Renato Guttuso del 1985.

Attivo ogni anno con la sua stagione teatrale e operistica, il Vittorio Emanuele continua a essere uno dei centri principali dell’intrattenimento culturale della città; e magari sarebbe interessante se al suo interno potessero tornare a suonare un po’ più spesso le note di Laudamo, Aspa, o di qualcun altro dei tanti compositori messinesi che il tempo e l’incuria hanno, forse immeritatamente, consegnato all’oblio…

Gianpaolo Basile

Ph: Giulia Greco