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Messina tra Oriente e Occidente: piazza Lepanto e l’Annunziata dei Catalani

Cultura Locale
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La Sicilia, si sa, è stata per secoli il cuore pulsante del Mediterraneo, un grande calderone nel quale le maggiori civiltà che si sono sviluppate sulle coste del Mare Nostrum hanno riversato senza sosta i loro frutti, e Messina ne è stata la porta: luogo di incontro, certo, per via del porto ricco e florido che l’ha resa un punto nodale negli scambi commerciali con il resto del mondo conosciuto; ma anche luogo di scontro, a causa della posizione di cruciale importanza strategica che ha consentito di trasformarla in un indispensabile punto di controllo militare.

Non esiste luogo che possa aiutarci a comprendere questo duplice ruolo meglio di quello che stiamo andando a descrivervi oggi: stiamo parlando di Piazza Lepanto, piccola piazzetta di forma triangolare che dà sulla via Cesare Battisti, a pochi passi dal Duomo, e su cui si affaccia uno dei meglio conservati monumenti storici di Messina, la suggestiva Chiesa dell’Annunziata dei Catalani.
Costruita nella seconda metà del XII sec.,secondo alcuni storici sopra i resti dell’antico Tempio di Nettuno, in epoca aragonese divenne cappella reale e fu concessa a una congregazione di mercanti catalani, da cui il nome. Più volte rimaneggiata nel corso della sua storia centenaria, e risparmiata dal terremoto del 1908 (è per questo che il suo piano di calpestio si trova circa 3 metri più in basso di quello del resto della città) la chiesa si presenta come un curioso ibrido stilistico, dove, su una base architettonica di stile bizantino, si innestano, armonizzandosi fra loro, elementi decorativi arabi, romanici, latini e normanni.

 

Nonostante la facciata anteriore appaia abbastanza spoglia, eccezion fatta per l’elegante portale fiancheggiato da colonnine e sovrastato dallo stemma romboidale aragonese, la vista posteriore, che dà sulla via Garibaldi, rende abbondantemente l’idea di questo coacervo stilistico, con le tre absidi adornate


dalla successione di loggette cieche sorrette da colonnine e la elegante decorazione ad intarsio, in cui la tradizione geometrica dell’architettura araba incontra quella del romanico europeo: il tutto sovrastato dalla cupola centrale ad alto tamburo, di struttura tipicamente bizantina. Se poi si ha la fortuna di trovarla aperta, si può entrare all’interno, dove gli archi bicolori e le colonne fanno quasi pensare a Cordova, alla Grande Moschea. Il risultato complessivo è quello di un suggestivo incontro di culture e mondi differenti.

 

 

 

 

Ma le attrattive di Piazza Lepanto non finiscono qui. Proprio davanti alla facciata principale, è stato trasportato, a seguito delle ristrutturazioni urbanistiche successive al sisma del 1908, il monumento a don Giovanni d’Austria, datato 1573, opera del carrarese Andrea Calamech, allievo dell’Ammannati. Il monumento ci ricorda che proprio da Messina, che nel ‘500 era un avamposto di prima linea nella lotta all’espansione ottomana e alla pirateria barbaresca, partì la flotta della Lega Santa che affrontò quella turca nella Battaglia di Lepanto: e al comando di questa flotta c’era proprio questo giovane generale, figlio bastardo di Carlo V e appena ventiquattrenne all’epoca del conflitto. Il sanguinoso scontro, consumatosi il 7 ottobre 1571, si concluse con una sudata vittoria delle armate cristiane, cui molti storici attribuiscono un ruolo chiave nella storia del mondo occidentale. Ed è proprio di vittoria l’espressione che illumina il volto giovanile della scultura bronzea che rappresenta il condottiero trionfante, con in mano il bastone di comando a tre fasci (emblema della triplice alleanza fra Spagna, Venezia e il Papato), al fianco una grande spada e indosso una armatura da parata finemente cesellata: simboli di trionfo che quasi fanno trascurare all’osservatore il macabro dettaglio del piede sinistro, che calpesta la testa mozzata del comandante nemico, il turco Ali Pasha; un dettaglio inconsueto, nella statuaria celebrativa dell’epoca, e proprio per questo prezioso in quanto testimone della accesa rivalità della città di Messina verso il nemico ottomano.

 

In Piazza Lepanto, dunque, si condensano le tracce di un passato che ha visto Messina all’interfaccia fra Oriente e Occidente, come luogo di incontro e integrazione di elementi culturali da un lato, di inevitabile conflitto militare e religioso dall’altro; un complesso intreccio di suggestioni che oggi, agli occhi del visitatore contemporaneo, non può che strappare una riflessione su tematiche più attuali che mai.

Gianpaolo Basile